domenica 26 aprile 2009

Leishmaniosi canina

Si tratta di una malattia infettiva a carattere zoonosico, ad andamento generalmente cronico causata da protozoi del genere Leishmania.

Le leishmanie vennero viste per la prima volta da Cunningham in India nel 1885 in persone affette da “bottone d’Oriente”. Nel 1903 Marchand osservò dei parassiti, simili a quelli visti da Cunningham, in strisci di milza di un cinese morto in Germania di “Kala-azar“; nello stesso anno e quasi contemporaneamente, Leishman e Donovan descrissero dei microrganismi identici ritrovati in persone ammalate di “Kala-azar”.
Questi parassiti vennero denominati Piroplasma donovani da Laveran e Mesnil e Leishmania donovani da Ross, mentre i protozoi ritrovati nelle forme di “bottone d’Oriente” vennero chiamati da Wright Leishmania tropica.
Nel 1909 Linderberg isolò dalle ulcere cutanee di un brasiliano un parassita denominato da Vianna (1911) Leishmania braziliensis. La prima segnalazione di leishmaniosi canina è del 1908 (Nicolle e Comte); in seguito si ebbero diverse altre segnalazioni sulla presenza delle leishmanie in altre specie animali.
Per quanto riguarda l’agente vettore del parassita, il primo a sospettare i flebotomi fu Pressat nel 1905.

Distribuzione mondiale della leishmaniosi

Distribuzione mondiale della leishmaniosi

Nel 1990 l’OMS riportò i casi di leishmaniosi umana nel mondo nel numero di 12 milioni circa, con un incremento intorno a 400.000 - 1.200.000 di nuovi casi ogni anno, in particolare in paesi della fascia equatoriale e subequatoriale.

La diffusione della malattia risulta influenzata da molti fattori:

  • Ambiente (densità dei flebotomi nelle aree endemiche, altitudine e caratteristiche geologiche del territorio, ecc.);
  • Clima (temperatura, tasso di umidità, ecc.);
  • Condizioni socio-sanitarie (malnutrizione, incidenza nella popolazione umana di soggetti affetti da immunodeficienza acquisita, elevata concentrazione di animali infetti, randagismo, ecc.);
  • Mancanza di presidi immunizzanti (ossia vaccini) efficaci sia nell’uomo che nel cane.

In Italia i casi ufficiali di leishmaniosi umana, nei 5 anni che vanno dal 1994 al 1999, sono stati circa 700 (ma molto probabilmente quelli reali sono molti di più), di cui ben 150 diagnosticati in pazienti HIV positivi. La maggior parte dei soggetti colpiti proviene da regioni endemiche centro-meridionali, nelle quali il cane rappresenta il principale serbatoio di malattia.
Spesso l’uomo, grazie ad una risposta immunitaria cellulo-mediata, non manifesta alcun sintomo in seguito all’infezione; inoltre nelle forme sintomatiche di solito risponde bene alla terapia e guarisce completamente sia dal punto di vista sintomatologico che da quello parassitologico (cosa almeno eccezionale nel cane). Invece nei soggetti immunodepressi gli insuccessi terapeutici e le ricadute sono frequenti, per il tipo di risposta prevalentemente umorale (analogamente a quanto accade nel cane) e conseguente produzione di ingenti quantità di anticorpi non protettivi e l’insorgenza di patologie da immunocomplessi.
Le varie forme di leishmaniosi umana (viscerale, cutanea, mucosa, dermica post-viscerale) rappresentano in certe aree dei veri e propri flagelli, in particolare nei Paesi della fascia equatoriale e sub-equatoriale. La malattia è endemica in molte aree di Africa, India, Medio Oriente, Europa meridionale, America Centrale e Meridionale. Inoltre, in diverse parti del mondo, rappresenta un serio problema nelle persone HIV positive (Handman, 2001 [abstract - HTML - PDF]).

1.1. Epidemiologia

Le numerose segnalazioni degli ultimi anni di casi di leishmaniosi canina provenienti da aree tradizionalmente ritenute indenni (anche dell’Italia settentrionale), debbono portare alla conclusione che - in pratica - non esistono zone, comunemente abitate, che possano essere considerate completamente sicure. Infatti se fino al 1989 il Nord Italia era considerato praticamente indenne dalla leishmaniosi canina, oggi abbiamo dei focolai accertati in Veneto, Emilia Romagna e Piemonte ed altri probabili in Trentino e Lombardia (Natale, 2004).
In Piemonte sono state accertate 3 differenti aree in cui la leishmaniosi canina è endemica (Torino, Ivrea, Casale), con una sieroprevalenza che va dal 3,9% al 5,8%. È stato identificato anche un possibile focus instabile in Valle D’Aosta: in quest’area montuosa non erano mai stati segnalati flebotomi in precedenti stazioni di cattura. In queste aree la colonizzazione può essere avvenuta spontaneamente dalle zone costiere o in seguito agli aumentati movimenti di persone dalle aree mediterranee in cui abbondano i flebotomi. In queste aree del Piemonte e della Valle D’Aosta la presenza stagionale dei flebotomi va dalla seconda metà di maggio a settembre. In base ad analogie climatiche e caratteristiche ambientali si può anche prevedere che la diffusione della malattia s’estenderà nel prossimo futuro ad altre zone dell’Europa centrale (Ferroglio et al., 2005).

2.1. Leishmania

Generi della famiglia Trypanosomatidae: Blastocrithidia, Crithidia, Endotrypanum, Herpetomonas, Leishmania, Leptomonas, Phytomonas, Trypanosoma, Wallaceina.
Classificazione Leishmania (OMS, 1990)

Classificazione Leishmania (OMS, 1990)

Le leishmanie sono protozoi appartenenti alla classe Zoomastigophorea, ordine Kinetoplastida, famiglia Trypanosomatidae.
Attualmente è da ritenersi valida la classificazione [vedi figura a fianco] del genere Leishmania elaborata dall’OMS (1990) sulla base di studi inerenti la biologia del protozoo, le specie di flebotomi implicate nella trasmissione e, soprattutto, il corredo enzimatico del microrganismo in parola.

Le leishmanie sono microrganismi dixeni che necessitano di un ospite intermedio costituito da un vettore ematofago, e di uno definitivo, rappresentato dall’ospite vertebrato.
Le leishmanie di nostra pertinenza sono quelle inserite da Lainson e Shaw (1979) nella sezione Suprapylaria, comprendente protozoi parassiti dei soli mammiferi: le fasi di sviluppo dei microrganismi avvengono nelle sezioni enteriche media ed anteriore del flebotomo; il contagio è assicurato dalla puntura dell’insetto parassitato sul mammifero ospite.
La sezione Hypopylaria comprende invece leishmanie proprie dei sauri: i protozoi si insediano e si sviluppano nella porzione enterica posteriore (piloro-ileo-retto) dei flebotomi vettori; il contagio dei sauri si realizza presumibilmente con l’ingestione, da parte dei sauri medesimi, dei flebotomi parassitati.
Infine la sezione Peripylaria comprende leishmanie parassite di mammiferi e sauri: le fasi di sviluppo dei microrganismi si realizzano nella parte enterica posteriore del flebotomo vettore, con migrazione poi dei protozoi nella sezione enterica anteriore; il contagio è assicurato dalla puntura del flebotomo parassitato sul mammifero ospite (e, si presume, sul sauro ospite).

Amastigote

Amastigote

Le leishmanie sono microrganismi dimorfici: nei mammiferi infestati Leishmania si presenta sotto forma di amastigote (da qualcuno detta forma a leishmania) con corpicciolo rotondo, globoso od ovalare, immobile, delle dimensioni di 2-5 µ di lunghezza per 2-3 µ di larghezza, fornito di protoplasma granuloso omogeneo perifericamente delimitato da un plasmalemma tristratificato; di grosso nucleo sferico centrale od eccentrico; di cinetoplasto (kinetoplasto, DNA extranucleare) piriforme od a bastoncino, spesso situato alla periferia del corpo parassitario ed in posizione antinucleare (spesso perpendicolare al nucleo). È presente il rizoplasto, abbozzo di flagello costituito da due microtubuli assiali circondati da 9 paia di microtubuli periferici, che si diparte in prossimità del cinetoplasto da un corpo basale o blefaroplasto e si esaurisce, senza esteriorizzarsi, alla periferia della cellula protozoaria, circoscritto, nel suo breve percorso, da un manicotto citoplasmatico rivestito dal plasmalemma, che qui si invagina profondamente in modo da costituire attorno al rizoplasto stesso una tasca flagellare aperta verso l’esterno.


L’amastigote si insedia nel contesto delle cellule macrofagiche (cellule del sistema reticolo-istiocitario; monociti, ecc.) del mammifero ospite; più esattamente entro un vacuolo intracitoplasmatico circoscritto da una membrana fagosomiale che, fondendosi con i lisosomi, si trasforma in fagolisosoma; qui si sviluppa e si moltiplica per scissione binaria dando luogo a numerosi elementi simili.

Negli insetti vettori (flebotomi) Leishmania si sviluppa e si moltiplica dando luogo a forme flagellate dette promastigoti e paramastigoti.

Promastigote

Promastigote

I promastigoti sono elementi dal corpo stretto e lungo fino a 20 µ, con protoplasma granuloso, nucleo grande centrale, cinetoplasto bastoncellare (ubicato in posizione antinucleare subterminale o terminale), blefaroplasto prossimo a questo, puntiforme; infine lungo e robusto flagello che si diparte dal blefaroplasto e presto si rende cranialmente libero emergendo dalla tasca flagellare con una porzione pressoché lunga quanto l’intero corpo.
In base alle indagini compiute su L. mexicana amazonensis (che probabilmente valgono anche per altre specie di Leishmania) si riconoscono due differenti tipi di promastigoti: il tipo nectomonade (corpo allungato, sottile, lungo oltre 12 µ [escluso il flagello], con 76-91 microtubuli sottopellicolari, flagello libero incapace di attaccarsi alle strutture parietali dello stomodeo [“apparato buccale”] del flebotomo vettore) e quello aptomonade. Quest’ultimo ha corpo più corto, delle dimensioni inferiori a 12 µ (escluso il flagello), con 115-138 microtubuli sottopellicolari, flagello libero e capace di attaccarsi alle strutture parietali dello stomodeo del flebotomo vettore.

I paramastigoti si differenziano dai promastigoti per essere muniti di cinetoplasto in genere ubicato non anteriormente ma allo stesso livello del nucleo, o poco posteriormente ad esso, e si possono reperire nella faringe, nel piloro e nell’ileo dei flebotomi infestati.

2.1.1. Ciclo biologico

La durata del ciclo biologico del parassita nell’ospite invertebrato varia da un minimo di 4 giorni ad un massimo di 20, in relazione alle condizioni climatiche esterne.
Le forme capaci di conferire l’infestione (o infestazione o infezione) al mammifero ospite sono costituite da promastigoti piccoli e molto attivi (promastigoti metaciclici infettanti) presenti nella proboscide dei flebotomi vettori, ma molto probabilmente anche nell’intestino medio da cui vengono rigurgitati direttamente (e quindi con tempi inferiori) nel sito di puntura (Killick-Kendrick et al., 2002). Questo avviene dopo che il parassita ha compiuto un ciclo di crescita piuttosto complesso nell’intestino dell’insetto. Leishmania è in grado di mettere in atto diversi meccanismi che ne facilitano la progressione nell’organismo invertebrato; per esempio produce un peptide mio-inibitorio che determina una discreta distensione intestinale (reversibile), così che viene prevenuta l’eventuale escrezione del parassita in seguito al pasto di sangue e la digestione della matrice peritrofica (Vaidyanathan, 2004).

In Italia la tipizzazione isoenzimatica ha permesso di stabilire che il parassita responsabile delle forme di leishmaniosi umana e canina è rappresentato da Leishmania infantum.
In particolare nel cane la malattia è causata principalmente dallo zimodema Montpellier 1 (MON1) e, talvolta, dal MON72, quest’ultimo isolato soprattutto da animali provenienti da comuni dell’area vesuviana.
L. infanutm è stata inoltre isolata da altri animali, quali la volpe (che sviluppa anche una sintomatologia viscero-cutanea, simile a quella del cane) ed il ratto nero (Rattus rattus); non sembra comunque che l’occasionale presenza di tali animali nelle aree endemiche possa in qualche modo incidere consistentemente sulla diffusione urbana e suburbana della malattia.

Ciclo biologico di Leishmania Descrizione del ciclo biologico:
  1. Amastigoti ingeriti dal flebotomo femmina nel momento in cui questa esercita l’ematofagia sul mammifero ospite infetto;
  2. Sviluppo, nella sezione enterica media ed anteriore del flebotomo femmina, degli amastigoti fino a promastigoti, e loro ripetuta moltiplicazione, con produzione finale di promastigoti metaciclici infettanti;
  3. Accumulo dei promastigoti infestanti nello stomodeo del flebotomo femmina;
  4. I promastigoti infettanti fuoriescono dalla proboscide del flebotomo femmina all’atto in cui questa punge il vertebrato ospite;
  5. I promastigoti infettanti si dislocano nel contesto delle cellule macrofagiche (macrofagi tissutali, cellule di Langherhans, monociti ed altri leucociti circolanti, ecc.), ove si trasformano in amastigoti e si moltiplicano;
  6. Scoppio delle cellule invase con diffusione (locale e metastatica pluriviscerale) dei protozoi, e ripetizione, in analoghe cellule, delle fasi moltiplicative descritte.

2.2. Il vettore

Flebotomo

Flebotomo

I promastigoti di Leishmania vengono trasmessi agli ospiti definitivi da piccoli insetti ematofagi appartenenti ai generi Sergentomya, Warileya, Brumptomyia, Lutzomyia e Phlebotomus. Solo questi ultimi sono i responsabili della diffusione della malattia nelle zone endemiche del bacino del Mediterraneo (in particolare P. perniciosus, P. perfiliewi e P. major sono i vettori di Leishmania infantum in Italia), e vengono classificati nel phylum Arthropoda, classe Insecta, ordine Diptera, sottordine Nematocera, famiglia Phlebotomidae.

Fra le circa 800 specie o sottospecie di flebotomi, 80 sono provate o sospettate di essere i vettori delle 22 specie di Leishmania che causano la malattia nell’uomo. In alcuni focolai di leishmaniosi i vettori restano sconosciuti, per cui appare evidente che altre specie saranno aggiunte alla lista (Killick-Kendrick, 2002).

Flebotomo

Flebotomo

Caratteristiche salienti dei flebotomi:

  • Corpo di colore giallo-pallido o giallo-ruggine, piccolo, lungo circa 2-3 mm (fino ad un massimo di 5), coperto da lunghi e fitti peli; il torace e l’addome formano un angolo quasi retto (ciò che li rende riconoscibili anche ad occhio nudo);
  • Testa allungata ed inserita sul collo in modo da formare un angolo di 45°;
  • Occhi composti, voluminosi, di colore scuro, situati ai lati della testa (appaiono rotondeggianti se visti di profilo e reniformi dorsalmente);
  • Palpi (appendici articolate in rapporto con l’apparato buccale aventi funzione sensoriale) pelosi ricurvi;
  • Proboscide corta e diretta in basso;
  • Antenne lunghe, pelose, costituite da 16 segmenti o articoli (alcuni di questi fungerebbero da organi di senso);
  • Ali grandi, pure pelose, di forma subovale.
Flebotomo defunto

Flebotomo defunto

Mentre i maschi si nutrono di succhi vegetali, le femmine, benché sembra attualmente non siano ematofaghe (Ferroglio, 2007), pungono la cute per nutrirsi di sostanze organiche degli ospiti (determinando irritazione) e per questo hanno strutture buccali atte a perforare la pelle: un labbro-epifaringe ventralmente scanalato e denticolato alla sua estremità, un’ipofaringe che porta il dotto salivare, due mandibole con estremità seghettata, due mascelle a forma di lama (mandibole e mascelle sono preposte ad incidere la cute); il tutto è contenuto, in posizione di riposo, entro il labbro inferiore (labium).

Il pasto di sangue da parte delle femmine ematofaghe si compie generalmente durante le ore notturne, con picchi intorno alla mezzanotte ed un’ora prima del sorgere del sole; si parla anche di un picco immediatamente dopo il tramonto (Killick-Kendrick, 2002). Una singola puntura può essere indolore ma l’attacco di più flebotomi provoca quasi sempre un certo dolore. Nel sito dove è avvenuta la puntura può manifestarsi una reazione cutanea locale, pruriginosa, con formazione di una piccola papula che può persistere per alcune settimane. Conseguentemente alla puntura si può verificare una reazione allergica, soprattutto in soggetti provenienti da zone non endemiche (fenomeno più o meno generalizzato con febbre e cefalea).

Flebotomo nell'atto di pungere

Flebotomo nell'atto di pungere

Il volo dei flebotomi è molto silenzioso e di breve durata ed estensione (poche centinaia di metri, anche se in esperimenti di campo [di rilascio e ricattura] la massima distanza registrata è stata di 2,3 km [Killick-Kendrick et al., 1984]); sono disturbati dal vento e da temperature al di sotto della media estiva. La velocità durante il volo è di circa 1 metro al secondo (0,65 - 0,70 m/sec.) (Killick-Kendrick et al., 1986).

3. Patogenesi

AVVERTENZA: Questo capitolo è quello che più di ogni altro risulta incerto ed in continua evoluzione, soprattutto perché comprende concetti approfonditi sull’immunologia della malattia, sotto-argomento sul quale le conoscenze sono incomplete o lacunose. Per questo molti argomenti ed asserzioni possono apparire ridondanti e, in qualche caso, contraddittori. In questa sede sono state inserite anche alcune nozioni sulla trasmissione diretta (non mediata dal flebotomo vettore) che in verità è nel novero dell’epidemiologia, argomento che qui non ha una pagina sua propria (accenni sono contenuti nella pagina introduttiva sulla leishmaniosi canina).

3.1. L’esordio dell’infezione

La via naturale del contagio è rappresentata dall’inoculazione dei promastigoti metaciclici infettanti, da parte dei flebotomi parassitati, durante un pasto di sangue, nella cute (sito primario d’infezione) dei mammiferi ospiti. Non si escludono altre possibili vie di contagio, come quella dell’ingestione volontaria o accidentale, da parte del mammifero, dei flebotomi parassitati.

Trasmissione diretta

Altre vie di trasmissione diretta, sicuramente minoritarie (da rare a molto rare) rispetto a quella tramite flebotomo vettore:

  • Trasmissione materno-fetale: più volte ipotizzata e generalmente ammessa nell’uomo (Figueiró-Filho et al., 2004 [PDF]; Bogdan et al., 2001 [HTML - PDF]; Meinecke et al., 1999 [HTML - PDF]; Eltoum et al., 1992), benché pochi casi siano stati segnalati in letteratura (ma del resto nei paesi in cui la leishmaniosi viscerale è endemica, soprattutto in quelli in via di sviluppo, è praticamente impossibile distinguere l’infezione congenita da quella contratta in età infantile [Boehme et al., 2006]), appare più che probabile anche nel cane, anche se non sempre la bibliografia è concorde (Andrade et al., 2002; Mancianti et al., 1995). Il rischio comunque è reale e, anche nella specie canina, si tende oggi a ritenere accertata questa possibilità (Rosypal et al., 2005; Masucci et al., 2003), benché non sia stato identificato l’esatto meccanismo con cui la trasmissione verticale si realizza (Diniz et al., 2005 [HTML - PDF]);
  • Trasmissione venerea: benché mai provata senz’ombra di dubbio (e quindi l’argomento dovrebbe essere approfondito dalla ricerca), appare possibile, per lo meno quella tra cane maschio infetto sintomatico e femmina, sulla scorta soprattutto delle ricerche di Diniz e coll. (2005, cit.) che, oltre a rinvenire amastigoti di Leishmania negli organi genitali interni (testicoli, epididimo) ed esterni (glande, prepuzio), hanno riscontrato una positività alla PCR nel seme di 8 su 22 (36,36 %) cani sintomatici. Visto che nell’accoppiamento spesso si verificano traumi sia nel maschio che nella femmina, si realizza la possibilità di trasmissione di amastigoti dagli organi genitali esterni, oltre ai parassiti nel seme provenienti dagli organi genitali interni.
    Quindi nel cane la trasmissione venerea della leishmaniosi è probabile, anche in considerazione dell’alto numero di cani infetti in aree in cui il flebotomo vettore è poco diffuso; e questo non è compatibile con una trasmissione unicamente mediata dal vettore (Diniz et al., 2005, cit.; Rosypal et al., 2005). Lesioni a livello di glande e prepuzio sono state riportate nell’uomo affetto da leishmaniosi viscerale (Cain et al., 1994; Schubach et al., 1998) e cutanea (Cabello, 2002). Inoltre è stato ben documentato un caso di trasmissione venerea di leishmaniosi viscerale umana (Symmers, 1960). Anche Bianchini (2007, comunicazione personale) segnala isolamenti di parassiti da testicoli di cani infetti sia sintomatici che asintomatici, raccomandando di evitare l’accoppiamento di cani maschi malati.
    Nella cagna non si registrerebbe un analogo tropismo di Leishmania per gli organi genitali (Silva et al., 2007);
  • Trasmissione attraverso le trasfusioni di sangue: praticamente accertata sia nella specie umana (Dey et al., 2006 [HTML - PDF]) che in quella canina (de Freitas et al., 2006);
  • Altri metodi esclusivi della specie umana:

Il ruolo che il flebotomo svolge non si limita all’inoculazione meccanica (passiva) dei promastigoti, ma attivamente ne promuove l’iniziale penetrazione e la successiva propagazione. Infatti le sostanze della saliva dell’insetto, iniettate insieme ai promastigoti, comprendono potenti vasodilatatori, inibitori della coagulazione del sangue e fattori immuno-modulatori che facilitano Leishmania nell’instaurare l’infezione (Ribeiro, 1995). Estratti salivari di Lutzomyia longipalpis associati all’infezione sperimentale di topi BALB/c con Leishmania amazonensis aumentano la produzione di IL-10 e diminuiscono quella di NO• (Norsworthy et al., 2004 [articolo completo HTML - PDF]).

Amastigoti nel citoplasma di un macrofago da una lesione cutanea
Nella microfotografia: oltre 30 amastigoti nel citoplasma di un macrofago ottenuto da una lesione cutanea.

Amastigoti nel citoplasma di due macrofagi
Nella microfotografia: numerosi amastigoti nel citoplasma di due macrofagi (i parassiti sono in numero di oltre 25 nella cellula in basso).

Introdotte nell’organismo le forme promastigote sono attaccate dai macrofagi (a cui i parassiti si “agganciano” mediante l’estremità craniale flagellata o l’estremità caudale) nei quali, in un tempo piuttosto breve, passano a forme amastigote (requisito importante per lo stabilirsi dell’infezione) e si riproducono per scissione binaria fino ad infarcire tutta la cellula ospite provocandone la distruzione.
È stato dimostrato (per lo meno nell’infezione umana da Leishmania major) che in realtà le prime cellule dell’organismo che entrano in contatto con il parassita sono i granulociti neutrofili, migrati nel sito d’infezione, i quali fagocitano il microrganismo senza ucciderlo, inoltre la loro apoptosi fisiologica risulta ritardata fino a richiedere 2 giorni. I neutrofili infetti producono una citochina che attrae i macrofagi i quali a loro volta li fagocitano e quindi Leishmania, internalizzata tramite questa via indiretta, riesce a sopravvivere ed a moltiplicarsi nei macrofagi; quindi il parassita utilizza i neutrofili come una sorta di cavallo di Troia per penetrare nelle cellule ospiti finali in modo silente e senza essere riconosciuto (van Zandbergen et al., 2004 [HTML - PDF - vedi anche la pagina con 3 filmati sulla sperimentazione riguardante l'interazione tra Leishmania, neutrofili e macrofagi). Nonostante questo, i neutrofili appaiono importanti come cellule effettrici per un'efficace risposta immunitaria di tipo Th1, come è stato evidenziato sperimentalmente nel topo (L. donovani) in cui l'inibizione di queste cellule ha indotto un aumento della carica parassitaria nella milza e nel midollo osseo e, in misura minore, nel fegato; inoltre si sono avuti altri effetti, come la splenomegalia, un ritardo della maturazione dei granulomi epatici e l'aumento splenico di citochine Th2 (IL-4, IL-10) (McFarlane et al., 2007).
L'attività leishmanicida del macrofago è bassa a temperatura compresa fra 30 e 35°C; infatti, nell'uomo, le lesioni più gravi sulla pelle sono state rilevate in aree del corpo in cui la temperatura è mediamente di 30-32°C.

Inoltre i macrofagi dell'epidermide (cellule di Langerhans) non esprimono recettori CR3 e C3bi (recettori per le relative frazioni del complemento [C' - vedi box a fondo pagina]) e sembra non siano in grado di fagocitare i promastigoti; oltre a ciò, i macrofagi del derma, pur fagocitando il parassita, non sono in grado, di per sé, di produrre un efficace burst ossidativo. Il promastigote internalizzato nelle cellule fagocitarie riesce a sopravvivere perché inibisce la maturazione fagosomiale; ed in questo una funzione cruciale è rivestita dal principale glicoconiugato di superficie del parassita, il lipofosfoglicano (LPG), tramite diversi meccanismi inibitori, come la rottura dell’actina filamentosa (F-actin) perifagosomiale durante il processo di maturazione del fagosoma stesso. Ma una delle citochine protettive (quando questo tipo di risposta cellulo-mediata è prevalente), l’IFN-γ, determinando l’up-regulation della produzione macrofagica di NO•, favorisce questa maturazione fagosomiale e quindi l’uccisione del parassita (Winberg et al., 2007).
Dal sito primario cutaneo d’infezione il parassita può essere disseminato attraverso la via ematica e linfatica, infettando i macrofagi di midollo osseo, linfonodi, fegato, milza, reni e tratto gastro-enterico (Reis et al., 2006).

3.2. Il sistema immunitario in difficoltà

In ospiti normorecettivi (non ignorando che, nel campo delle leishmaniosi sperimentali in piccoli animali da laboratorio [topi], si siano riconosciuti individui geneticamente recettivi in contrapposizione ad individui geneticamente resistenti) il protozoo stimola l’attivazione delle difese immunitarie sia umorali (anticorpi) che cellulo-mediate.

Peraltro amastigoti e promastigoti sono in grado di opporsi agli anticorpi (Ac) sierici agganciandoli mediante gli antigeni (Ag) di superficie (il plasmalemma di questi protozoi può essere considerato come un mosaico costituito da una matrice lipidica e da molecole proteiche capaci di “movimenti direzionali”) e poi eliminandoli come immunocomplessi (Ic), al contempo ricostituendo, secondo un turnover assai breve (3,5 - 4 ore), gli Ag di superficie andati perduti.

Per la refrattarietà della parete dell’amastigote ai metaboliti del macrofago e per la capacità del parassita di inibirne l’attività (sembra che il protozoo elimini localmente sostanze ad azione antienzimatica [fattore escretore]), le leishmanie resistono all’attività del macrofago.

L’esito dell’infezione è strettamente connesso al tipo di risposta immune che viene innescata. In particolare il controllo dell’infezione o l’evoluzione della malattia, sono legati alle popolazioni di linfociti T (LT), CD4+ e CD8+, responsabili del riconoscimento degli Ag presentati dai macrofagi (cellule presentanti l’antigene, Antigen Presenting Cells [APC - vedi box a fondo pagina]) e dell’attivazione dell’immunità cellulo-mediata.

3.2.1. Il paradigma

Nell’ambito della popolazione CD4+ si hanno due sottopopolazioni (fenotipi): i Th1 ed i Th2; i Th1, quando vengono attivati, determinano un’evoluzione benigna dell’infezione perché proteggono l’organismo dalla malattia attraverso l’elaborazione di sostanze sotto specificate. Poiché Leishmania è un parassita intracellulare obbligato, il successo della resistenza dell’ospite è in funzione dell’attività dei macrofagi stimolati dalle citochine e interferone-γ (IFN-γ) prodotti dalle cellule Th1.
Cioè: l’immunità protettiva è cellulo-mediata e dipende dal fenotipo linfocitario T helper (LT helper) attivato (Th1, appunto); la prevalente produzione di IFN-γ, IL-2, TNF-α, IL-12 da parte delle cellule Th1 è associata alla risoluzione dell’infezione e quindi alla protezione dei soggetti infetti.
Al contrario la prevalente produzione di IL-4, IL-5, IL-6, IL-10 ed il fattore di stimolazione dei linfociti B (BSF-1) ad opera del fenotipo Th2 è responsabile della progressione dell’infezione verso la malattia.

3.2.1.1. Il paradigma in dubbio

I dati che hanno permesso l’evidenziazione del paradigma fondamentale della patogenesi dell’infezione (attivazione CD4-Th1: protezione; CD4-Th2: malattia), derivano fondamentalmente da ricerche su roditori da laboratorio - leishmaniosi cutanea da L. major - e dalle conoscenze di immunologia umana, la cui estrapolazione alla situazione immunologica nel cane, non è sempre priva di rischi interpretativi (Prélaud, 2003). Inoltre è stato visto che ci possono essere delle eccezioni: per esempio l’espressione fenotipica delle cellule T CD4+ può anche non essere sempre indicativa di protezione contro l’infezione da Leishmania amazonensis (Vanloubbeeck et al., 2004 - HTML - PDF).
Nella leishmaniosi viscerale dell’uomo e del topo non è stato possibile dimostrare una chiara dicotomia Th1/Th2; si realizza invece una risposta mista che può essere polarizzata in una direzione o nell’altra (Miralles et al., 1994 [PDF]; Kenney et al., 1998). Nel cane la risposta immunitaria cellulare non è ancora definita a fondo, anche se soggetti infetti ma che non sviluppano la malattia hanno dimostrato di possedere una risposta di tipo Th1; questo è stato evidenziato in vitro tramite la valutazione della stimolazione linfocitaria con antigene di L., eseguendo test di stimolazione linfocitaria (LPA) e tramite il riscontro di alcune citochine caratteristiche con bio-test (Pinelli et al., 1994 [PDF]), mRNA RT-PCR (Pinelli et al., 1999; Chamizo et al., 2005) ed ELISA (Strauss-Ayali et al., 2005). Inoltre in vivo è stata dimostrata l’importanza della risposta immunitaria cellulare utilizzando il test cutaneo alla leishmanina (LST) (Cardoso et al., 1998; Solano-Gallego et al., 2001). Per questi motivi, nel cane, se non si può parlare di una chiara dicotomia Th1/Th2, si può almeno affermare, come più volte accennato, che i soggetti infetti con malattia clinicamente manifesta mostrano una risposta immunitaria prevalentemente umorale e non protettiva (simil-Th2), mentre i soggetti infetti che non sviluppano la malattia mostrano una risposta immunitaria prevalentemente cellulare e protettiva (simil-Th1) (Ferrer et al., 2000).
Si deve anche aggiungere che vengono segnalati casi di cani asintomatici da anni, ma che esprimono solo grandi quantità di citochine di tipo Th2, come IL-4 e IL-10 (Gradoni, 2005 - comunicazione personale). Inoltre, allorché si è cominciato ad approfondire gli aspetti specifici canini sulle citochine, sono usciti fuori dati non sempre coincidenti dai diversi studi pubblicati. Se da una parte l’IL-6 si è confermata come un indice importante in corso di infezione/malattia attiva (sintomi) e recidive (pur essendo presente anche in cani sani ed infetti asintomatici, seppure a livelli significativamente inferiori), dall’altra il TNF-α non può essere considerato un buon marker (ed infatti i dati bibliografici sono incongrui se non contrastanti), probabilmente perché si tratta di una molecola molto labile e quindi difficile da valutare obiettivamente. L’aumento della produzione di IL-6 in corso di leishmaniosi canina attiva non è direttamente correlato col titolo degli anticorpi anti-Leishmania, probabilmente perché entrano in gioco altre citochine - come IL-10 e/o IL-4 - nel determinismo dell’iper-gamma-globulinemia osservata nel corso della patologia (de Lima et al., 2007).

Produzione di IL-10 durante le risposte immunitarie

Immagine e didascalia originali da O'Garra et al., 2007

Il complicato universo delle interrelazioni tra LT, interleuchine, cellule macrofagiche e patogeni intracellulari (quindi non solo Leishmania, ma anche Toxoplasma gondii ed altri) è ben lungi dall’essere pienamente compreso anche nei topi di laboratorio, figuriamoci nell’uomo e nel cane.
Si prenda ad esempio l’IL-10, una citochina con ampie proprietà antiinfiammatorie che derivano dalla sua capacità di inibire la funzione di macrofagi e cellule dendritiche (DCs), compresa la produzione di citochine proinfiammatorie (come l’IL-12). Benché l’IL-10 sia stata considerata una classica citochina Th2, viene in realtà prodotta anche dai Th1, che in questo modo controllerebbero se stessi (viste le proprietà anti-Th1 della citochina medesima) durante la risposta immunitaria alle infezioni. Ma in contrasto con le sue principali funzioni soppressive, l’IL-10 può anche rivestire un ruolo positivo in certe risposte immunitarie, come la stimolazione delle mast-cellule, l’upregulation di alcuni geni dei fagociti, la promozione della differenziazione e migrazione dei LT citotossici (CTL) e l’attivazione dei linfociti B tramite l’upregulation dell’espressione delle molecole di MHC di classe II e la stimolazione della risposta delle IgA. Dunque l’IL-10 riveste un ruolo di regolazione in senso soppressivo della risposta immunitaria cellulo-mediata, senza annullarla completamente ma comunque inducendo uno stato d’infezione persistente.
Una piena comprensione dei meccanismi coinvolti nell’induzione di IL-10 espressa da parte di diversi tipi di cellule, insieme con l’eventuale possibilità di controllare rigorosamente le quote e le fonti di questa citochina, costituirebbe un progresso significativo nella gestione clinica delle malattie infettive (O’Garra et al., 2007).

3.2.2. La lotta armata: Non solo Leishmania e immunità

La questione fondamentale, che resta sostanzialmente insoluta, riguarda la conoscenza dei fattori che inducono una risposta prevalentemente Th1 o prevalentemente Th2. Sono state formulate diverse ipotesi, sulla base delle evidenze risultanti dai dati sperimentali sui topi (specie in cui le conoscenze immunologiche per l’infezione da Leishmania, sono abbastanza ampie, a differenza che nel cane).

Si è parlato anche di una predisposizione genetica - certamente multifattoriale - sulla base di risultati sperimentali su topi BALB/c, nei quali, tale suscettibilità (perlomeno per quanto riguarda L. major), probabilmente dipende da un riconoscimento aberrante degli epitopi antigenici di Leishmania (in particolare di quello denominato LACK) (Mougneau et al., 1995) da parte dei LT CD4+; conseguentemente si avrebbe un’esagerata produzione di IL-4 (e lo sviluppo eccessivo del clone linfocitario Th2) con la perdita della risposta di IL-12 (Guler et al., 1996) e/o un’alterata produzione di IL-12 da parte delle APC (Geni et al., 1996). [Vedi Locksley et al., 1999 (articolo completo)].

A fianco della nota definizione del prof. Oliva (Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Napoli) - La leishmaniosi canina è una lotta armata tra il parassita ed il sistema immunitario dell’ospite - si devono aggiungere altri fattori e meccanismi, che sicuramente complicano la possibilità di una piena comprensione della fenomenologia generale, che porta dall’infezione alla malattia o alla risoluzione spontanea o comunque allo stato di soggetto infetto asintomatico. Oltre ai già citati meccanismi di facilitazione messi in atto da parte del vettore (tramite soprattutto le sostanze della saliva), facilitazione non solo alla penetrazione del protozoo (infezione), ma anche alla sua successiva sopravvivenza, si può ipotizzare anche una componente specifica messa in gioco dalla Leishmania stessa.
Giudice e coll. (2007) hanno infatti isolato diversi stipiti di Leishmania amazonensis e L. braziliensis da lesioni di pazienti umani affetti da leishmaniosi cutanea, che presentavano un diverso grado di sensibilità al meccanismo di killing messo in atto dal NO• (ossido nitrico), come evidenziato in vitro. Alcuni di questi isolati erano resistenti al NO• (a differenza dei parassiti sensibili che vengono inattivati prontamente dopo la penetrazione nei macrofagi, quelli resistenti al NO• sopravvivono 72-96 hh) . Non solo: le lesioni cutanee da cui provenivano gli isolati resistenti al NO•, apparivano più gravi delle altre (quindi con differenze riguardo al decorso clinico della malattia), e gli isolati resistenti si coltivavano meglio e più a lungo (in vitro). Quindi è ipotizzabile che sussista una differenza nella virulenza sia tra diverse specie di Leishmania, sia all’interno della stessa specie (differenze interspecifiche ed intraspecifiche). E questo riflette l’elevato polimorfismo del DNA di diversi isolati di L. braziliensis in varie aree endemiche.

3.2.3. Uno stato immunopatologico

Le sostanze prodotte dai Th2 non proteggono l’organismo dall’aggressione delle leishmanie perché richiamano, nel sito di partenza dell’infezione, macrofagi immaturi a bassissimo potenziale antiparassitario; favoriscono anzi l’evoluzione della malattia, in quanto permettono una persistenza delle leishmanie “protette” all’interno dei macrofagi ed una loro diffusione sistemica.
Nei soggetti ammalati, infatti, la continua sollecitazione delle cellule immunocompetenti, indotta dai parassiti posti al riparo nei fagociti, comporta uno squilibrio del sistema immunitario, con iperfunzione della risposta umorale (non protettiva), ed anomalie in quella cellulo-mediata: il tutto si traduce in uno stato immunopatologico caratterizzato essenzialmente da immunodepressione e dalla produzione di immunocomplessi (Ic) circolanti.

L’attivazione preferenziale dei linfociti Th2 comporta due fondamentali conseguenze:

  • La scarsa capacità di queste cellule, come è detto sopra, ad attivare il processo di “killing” parassitario ad opera dei fagociti invasi;
  • L’abnorme produzione di anticorpi diretti anche contro strutture proprie dell’organismo (fenomeni immunopatologici autoimmunitari), che sono alla base di gran parte degli eventi patologici che si realizzano nei soggetti leishmaniotici.

Le lesioni organiche e tissutali che più comunemente si riscontrano nella leishmaniosi del cane sono costituite, appunto, da vasculiti, poliartriti, ulcerazioni cutanee, uveiti, glomerulonefriti, ecc., tutte espressioni dello squilibrio immunologico che viene innescato dal parassita.

Nel quadro della risposta umorale, però, agli accennati fenomeni autoimmunitari, deve essere attribuita un’importanza superiore a quella finora conferita, per quanto concerne la patogenesi della malattia (sia nel cane che nell’uomo). Probabilmente questi fenomeni giocano un ruolo non secondario, come lasciano ritenere le sempre più frequenti segnalazioni di patologie autoimmuni od immuno-mediate negli animali leishmaniotici, con presenza nel sangue di autoanticorpi e di Ic. Nell’uomo, infatti è stata rilevata la presenza di auto-Ac anti-proteine filamentose ed anti-eritrociti; nel cane sono stati evidenziati Ac anti nucleo (frequente la positività all’ANA-test [test dell'anticorpo antinucleo]) ed il fattore reumatoide, nonché Ac anti-muscolo liscio, cardiaco ed anti-eritrociti (cui certamente sono da attribuire, almeno in parte, i quadri di anemia rilevabili nella leishmaniosi).

In uno studio retrospettivo eseguito nel 1988 su 95 cani leishmaniotici, Slappendel ha dimostrato che il 100% dei soggetti presentava immunocomplessi circolanti [riferimento].
Chabanne e coll. [1993], in un’interessante indagine comparativa in cani con patologie diverse, autoimmuni e non, hanno rilevato una positività del 45% per il fattore reumatoide in quelli affetti da leishmaniosi) [riferimento].

3.3. Appendice

Complemento

Complemento (C’)

Serie di proteine, presenti nel plasma, che svolgono un ruolo fondamentale nella difesa immunitaria dell’organismo, promuovendo la fagocitosi delle cellule estranee e di altri antigeni (Ag) ed incaricandosi della lisi di alcuni batteri.

Il C’ è coinvolto anche nei processi infiammatori e può essere responsabile dei danni che si verificano nelle malattie autoimmuni e nell’ipersensibilità.

La serie comprende 9 diversi componenti proteici, che interagiscono sequenzialmente nel così detto effetto cascata (cascata del C’): un piccolo evento scatenante sufficiente ad attivare uno dei componenti, avvia un effetto amplificato.

Nella via classica di attivazione del C’ il primo stadio è rappresentato dal legame degli anticorpi (Ac) delle classi IgG o IgM ad Ag specifici, legame che induce una variazione di conformazione dell’Ac stesso che attiva il primo componente del C’, il C1.
Il C1 attivato è in grado di attivare il C2 ed il C4 che scindono unitamente il C3 in C3a e C3b. Quest’ultimo stimola l’afflusso, il legame e le attività fagocitarie dei macrofagi e dei granulociti neutrofili ed il rilascio di sostanze infiammatorie da parte delle piastrine (Plt), mentre il C3a (anafilotossina) innesca il rilascio di istamina dai mastociti (mastzellen o mastcells).

Il C3 può anche essere scisso dalla via alternativa di attivazione del C’ (che salta C1, C2 e C4), innescata da varie sostanze, inclusi lipopolisaccaridi (LPS) batterici, trombina e plasmina (queste ultime due sono sostanze coinvolte nella coagulazione del sangue).
Una volta prodotto il C3b, assieme ad altre proteine (B, D e P [properdina]), è in grado di stimolare un’ulteriore scissione di C3.

Il C3b (generato da entrambe le vie) è in grado di attivare il C5 che viene scisso per produrre C5a, un’altra anafilotossina. Ciò che rimane della molecola C5 forma un complesso con C6 e C7 ed in questa forma acquisisce il potere ulteriore di attivare i neutrofili.
Il complesso attivato C567, infine, è in grado di fissare i componenti C8 e C9, che quindi acquisiscono il potere di lisare certi batteri o altre cellule estranee.

4. Sintomatologia

4.1. Generalità

Nel cane la malattia si manifesta quasi esclusivamente nella forma generalizzata, detta anche «viscero-cutanea». Le forme ad esclusiva localizzazione cutanea, come nel bottone d’Oriente dell’uomo, sono rarissime ed anche in questi casi è stato possibile rinvenire i parassiti negli organi interni. Dunque la leishmaniosi canina è considerata una malattia viscerale in cui le lesioni cutanee sono una conseguenza della disseminazione del parassita (Slappendel et al., 1998).

Nonostante la presenza dei flebotomi nel periodo maggio-ottobre, la malattia non assume un carattere di stagionalità, in relazione al lungo periodo d’incubazione che, sperimentalmente, è risultato variare da un minimo di 1 mese ad un massimo di 4 anni.

Risultano più colpiti i cani adulti (età più frequente 3-7 anni, ma con limiti da 1 a 11 anni), senza distinzione di sesso, razza, lunghezza del pelo, che vivono in ambiente esclusivamente o prevalentemente extradomestico (il 72,4% dei cani colpiti vive in prevalenza all’aperto); il fatto che l’incidenza della patologia nei cani di piccola taglia sia molto bassa, probabilmente è proprio in relazione all’habitat strettamente domestico di questi animali (e conseguente minore possibilità di contatto con i flebotomi, soprattutto nelle ore notturne). Altresì modesta è l’incidenza nei cani anziani e questo fatto può ricondursi alla bassa longevità legata alla malattia stessa.

Il decorso è generalmente subacuto o cronico; solo nel 4% dei casi, infatti, è possibile osservare una fase acuta con la comparsa di febbre (che interessa quasi esclusivamente giovani animali già debilitati da altri fattori), a differenza di quanto riportato nell’uomo, in cui l’ipertermia è un elemento pressoché costante come la diarrea e la tosse. Comunque i confini tra le varie manifestazioni cliniche sono sfumati, tanto che possono realizzarsi forme croniche che si acutizzano improvvisamente (i relativi sintomi risultano generalmente legati a patologie immunitarie secondarie all’infezione primaria).
È stata riportata una forma acuta pura (Bourdeau, 1983) con febbre, sintomi nervosi e morte, difficilmente differenziabile da una forma di cimurro nervoso in considerazione della celerità dell’esito.

Nella forma tipica cronica il quadro sintomatologico risulta abbastanza complesso ed oltremodo vario.
Dopo il periodo d’incubazione l’infezione può decorrere, oltre che con diversi sintomi (spesso molto gravi), anche in forma asintomatica, cioè in modo silente o quasi inapparente. Comunque bisogna tenere presente che non sempre ad un quadro clinico grave e conclamato corrisponde una parassitosi altrettanto grave, così come ad un quadro silente può corrispondere una grave parassitosi; si può già comprendere come la diagnosi clinica presenti sempre delle difficoltà.

I sintomi della malattia, inizialmente, possono essere estremamente vaghi, per poi divenire più decisi e gravi, caratterizzati soprattutto da manifestazioni a carico della cute, delle mucose e da sintomi di ordine generale.
La frequenza dei sintomi che si possono osservare in corso di leishmaniosi è ben riassunta nella seguente tabella, basata su una ricerca sulla varia letteratura specifica.

Prevalenza relativa (%) dei differenti segni clinici della leishmaniosi cutanea (sono riportati solo quelli superiori al 4%) (Noli, 1999)
Sintomi Prevalenza relativa (%)
Linfoadenopatia generalizzata simmetrica 71,2 - 96,1
Lesioni cutanee 75,0 - 89
Pallore delle mucose 58 - 94,2
Perdita di peso 30,7 - 70
Piressia (febbre, ipertermia) 23,0 - 70
Letargia 18 - 70
Anoressia (assenza d’appetito) 18 - 70
Splenomegalia (ingrossamento della milza) 15 - 53,3
Insufficienza renale 16 - 32
Lesioni oculari 16 - 50
Epistassi (rinorragia: fuoriuscita di sangue dalle narici) 10 - 37
Artropatie 4 - 6,4
Forma acuta di leishmaniosi: febbre e linfoadenopatia generalizzata in assenza di lesioni cutanee 4
Insufficienza renale grave senza altri segni di leishmaniosi 4

L’anamnesi può riferire di un lento ma progressivo dimagrimento, di una lieve o marcata disoressia (”appetito capriccioso”: può essere aumentato o diminuito, a prescindere dal dimagrimento), accompagnata a lesioni cutanee per lo più di tipo furfuraceo, e di un soggiorno più o meno prolungato dell’animale nelle aree endemiche.
In alcuni casi può essere segnalata epistassi così come poliuria e polidipsia, queste ultime indicative di un coinvolgimento renale.

4.2. Manifestazioni a carico della cute

Prevalenza relativa (%) delle differenti lesioni cutanee sul totale degli animali colpiti
Lesione Prevalenza relativa (%)
Dermatite esfoliativa secca 56 - 90,9
Ulcerazione 32,0 - 40
Alopecia periorbitale 18
Alopecia diffusa 14
Onicogrifosi 24 - 54,5
Paronichia 13,6
Dermatite pustolosa sterile 1,6 - 13,6
Depigmentazione nasale 4,5
Ipercheratosi nasale/digitale 4,5
Noduli non ulcerati 4,5 - 16,8

Uno dei primi sintomi osservabili è una certa rarefazione del pelo che può talvolta interessare tutta la superficie corporea (ma in particolare la testa):

  • Padiglioni auricolari;
  • Zone intorno agli occhi (periorbitali);
  • Dorso del naso;
  • Collo;
  • Punta dei gomiti, dei garretti e delle natiche;
  • Base e punta della coda;
  • Arti (soprattutto a livello di prominenze ossee).

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Col passare del tempo le zone colpite divengono più estese e, dalla semplice rarefazione, si può passare all’alopecia (o all’ipotricosi) più o meno diffusa.
La pelle si presenta poco elastica, grigia, secca, a volte ispessita, anemica e ricoperta da squame biancastre (eczema furfuraceo).

La dermatite furfuracea o amiantacea (dermatite secca esfoliativa), più evidente nei cani a mantello scuro, rappresenta uno dei sintomi caratteristici della malattia: generalmente non è pruriginosa e di solito si manifesta su tutta la superficie corporea, pur essendo ovviamente più evidente nelle zone alopeciche. Le squame, di natura paracheratosica, sono grosse, lamellari, bianche, secche e per lo più aderenti nella parte centrale.

Le aree depilate eczematose possono presentare delle zone squamo-crostose, delle erosioni ed infine delle ulcere; queste, ribelli ad ogni cura locale, si presentano di forma irregolare, non molto estese ed hanno i margini piani su uno sfondo grigio-giallastro infiltrato di essudato siero-purulento. Se le ulcere interessano la cute che ricopre la cartilagine auricolare, la lasciano allo scoperto.
La dermatosi ulcerativa può localizzarsi sulle zampe (in corrispondenza delle prominenze ossee), sui cuscinetti plantari (spesso il segno di forme recidivanti [Pizzirani, 1989]), alle narici.

Altra lesione caratteristica e presente nella maggior parte dei casi, è la crescita abnorme delle unghie (onicogrifosi) quasi a forma di artigli, dovuta alla reazione proliferativa della matrice ungueale stimolata dalla presenza dei parassiti (paronichia).
L’onicogrifosi, lo scadimento organico ed il suddetto peculiare segno rappresentato dalla presenza di alopecia periorbitale bilaterale (lunettes o segno degli occhiali), fanno assumere all’animale il tipico aspetto di cane vecchio.

All’esame della cute è possibile osservare anche la presenza di noduli od ispessimenti non ulcerati e non dolenti di vario diametro (1-10 cm), analoghi alle forme di granuloma macrofagico anergico della leishmaniosi cutanea dell’uomo, in cui l’esame citologico mostra numerose forme di amastigote.
È stata riportata anche una rara forma di dermatite pustolosa diffusa (Pizzirani, 1989).

L’immunodepressione causata dalla leishmaniosi può favorire il sovrapporsi di qudri di rogna demodettica (rogna rossa, demodicosi) anche in cani adulti. Anzi, in caso di demodicosi in un soggetto adulto, la leishmaniosi andrebbe sempre inclusa nelle diagnosi differenziali (Pizzirani, 1989).

4.3. Manifestazioni a carico delle mucose

Le mucose si presentano generalmente anemiche ed il pallore aumenta con l’aggravarsi della malattia; in alcuni casi sono di colore rosso-mattone a causa della sofferenza epato-renale.

4.3.1. Mucosa nasale

Foto di un cane leishmaniotico: veduta frontale.

Si possono formare delle erosioni ed ulcere sanguinanti che determinano epistassi (rinorragia). Essa di solito è monolaterale ed intermittente e può essere dovuta anche ad una grave forma di trombocitopenia o ad una vasculite da immunocomplessi. In genere l’epistassi riconosce una patogenesi multifattoriale; le alterazioni che più frequentemente sono state riscontrate nei cani che manifestano questo segno, rispetto a quelli che non lo manifestano, sono: ipergammaglobulinemia e conseguente aumento della viscosità sierica, diminuzione della risposta di aggregazione piastrinica al collagene, ulcerazione della mucosa nasale. Oltre alle emorragie, la rinite può esprimersi anche tramite lo scolo muco-purulento (Petanides et al., 2008).

4.3.2. Mucosa orale

Anche sulla mucosa orale, soprattutto sull’orlo gengivale e sulla commessura labiale, si possono rinvenire delle piccole ulcere.

4.3.3. Mucosa congiuntivale e strutture oculari

Lesioni oculari.

Lesioni oculari

Stesso soggetto della foto precedente dopo 1 mese di terapia (metronidazolo, spiramicina, allopurinolo e due preparati topici oculari).
Stesso soggetto della foto precedente, dopo un mese di terapia a base di metronidazolo, spiramicina ed allopurinolo (per via orale) ed applicazione topica oculare di due preparati (Xantervit Antibiotico Pomata Oftalmica® e Lacrinorm Gel®)

La maggior parte dei soggetti con lesioni cutanee presenta anche una congiuntivite cronica o una congiuntivite nodulare con raccolta di essudato muco - purulento nel sacco congiuntivale.
Le palpebre risultano più o meno ispessite ed edematose.
Nei casi gravi si possono notare anche fenomeni di cheratite (cheratite secca) con opacamento corneale.
La cheratite o la cheratocongiuntivite secca (CCS, si presenta in circa il 3% dei cani leishmaniotici) si manifesta come flogosi cronica con neovascolarizzazione superficiale ed edema corneale, il quale può presentarsi d’entità moderata oppure grave, tanto da impedire l’osservazione della camera anteriore dell’occhio. Se è interessata la ghiandola lacrimale (CCS), debbono essere chiamati in causa fenomeni immunomediati più che la presenza diretta di Leishmania, anche se sono segnalati isolamenti di parassiti dalla ghiandola lacrimale stessa (Gelatt, 1981). I fenomeni che coinvolgono le ghiandole lacrimali sono improntati sull’infiltrazione granulomatosa o pio-granulomatosa, localizzata attorno alla componente duttale. Ciò produce un accumulo retrogrado e la ritenzione del secreto lacrimale. I campioni provenienti da occhi con segni clinici compatibili con la CCS, presentano un infiltrato infiammatorio e parassiti più frequentemente di quelli provenienti da occhi senza CCS. La ghiandola di Meibomio pare essere quella colpita più di frequente, evidenziando la possibilità di una CCS qualitativa nei cani affetti (Naranjo et al., 2005).

Molto frequente è anche l’uveite anteriore di cui si conoscono due principali forme: una a carattere granulomatoso, si presenta con superficie iridea irregolare con piccoli granulomi da cui si isola il parassita; nell’altra, più comune e non granulomatosa, l’iride si presenta semplicemente edematosa con possibilità di formazione di sinecchie posteriori e quindi di glaucoma da blocco pupillare.
In quest’ultima forma l’esame istologico evidenzia generalmente un infiltrato linfo-plasmocitario, associato ad una vasculite sistemica necrotica, che fa propendere per una genesi immunitaria.
È stato osservato che la cheratouveite si manifesta il più delle volte in soggetti che hanno attraversato un ciclo di terapia non adeguato, e che sarebbe la manifestazione di una recidiva spesso associata a patologie da immunocomplessi in altri organi o di una forma cronica a lenta evoluzione (Pizzirani, 1989).

Nei casi inveterati e particolarmente gravi si può arrivare al coinvolgimento di tutte le strutture oculari (panoftalmite), a causa dell’impossibilità da parte di specifici presidi terapeutici di raggiungere concentrazioni ottimali a livello di distretti oculari poco vascolarizzati. La persistenza in tali strutture di macrofagi ricchi di leishmanie potrebbe in questo modo costituire una riserva antigenica per possibili nuove reinfezioni.

Rare, ma comunque segnalate, sono le lesioni retiniche, come emorragie puntiformi sul fondo, fino al distacco retinico e conseguente cecità.

4.4. Sintomi di ordine generale

Si tratta di segni poco apprezzabili nel periodo d’incubazione (silente) della malattia, poi, con la comparsa delle manifestazioni cutanee, si rendono evidenti e divengono gradualmente sempre più gravi:

  • Dimagrimento progressivo con ipotonia e ipotrofia muscolare che contrasta con l’appetito in genere conservato o capriccioso (disoressia) e che scompare del tutto solo all’ultimo stadio; il dimagrimento si accentua gradualmente fino alla cachessia;
  • Ipertrofia linfonodale che si manifesta fin dall’inizio della malattia e che risulta marcata nel periodo delle lesioni cutanee; i linfonodi esplorabili (solitamente i prescapolari sono più interessati dei poplitei, mentre i sottomandibolari sono sempre coinvolti in modo più attenuato) alla palpazione si presentano ingrossati, duri, spostabili e non dolenti; anche se è reperto molto frequente, non si presenta sempre in tutti i casi: in soggetti con sintomatologia esclusiva a carico dei reni e senza lesioni cutanee, l’adenomegalia può mancare del tutto;
  • Abbattimento generale e sonnolenza che vanno anch’essi aumentando col passare dei giorni; gli animali, verso la fine della malattia, si presentano svogliati e spossati, rimangono coricati in preda a continua sonnolenza e, se sollecitati a muoversi, lo fanno con grande sforzo camminando con estrema difficoltà anche per il dolore arrecato dalle lesioni podali.

4.5. Altri sintomi

  • Splenomegalia: reperto incostante, apprezzabile soprattutto in soggetti magri; la milza ha consistenza duro-elastica e, come i linfonodi, non è dolente alla palpazione;
  • Epatomegalia: difficilmente assume entità apprezzabili in quanto il fegato di solito non deborda dal margine costale; del resto gli esami ematici di funzionalità epatica solo in certi casi si rivelano alterati (aumento dell’attività sierica degli enzimi ALT ed AST);
    • In circa il 5% dei casi è diagnosticabile una forma di epatite cronica granulomatosa. Gli animali mostrano vomito, poliuria, polidpsia, scarso appetito e perdita di peso: la biopsia epatica, essenziale per confermare il coinvolgimento dell’organo, pone in evidenza una diffusa infiltrazione di macrofagi ricchi di amastigoti, associata a piccole aree di necrosi;
  • Apparato muscolo-scheletrico:
    • Il coinvolgimento dell’apparato muscolo-scheletrico (polimiositi ed artrosinoviti febbrili su base immunomediata) può determinare delle zoppie più o meno evidenti (rare);
    • La palpazione delle diafisi delle ossa lunghe può evocare una certa dolorabilità (la zona di osso affetta è quella relativa all’arteria nutritizia attraverso la quale sembra avvenire la diffusione dell’infezione [Pizzirani, 1989]) , analogamente ai movimenti passivi di flesso - estensione delle articolazioni;
    • L’esame radiologico delle ossa lunghe si caratterizza per le estese lesioni periostali a carattere proliferativo (e/o lesioni osteolitiche-osteomielitiche [de Souza et al., 2005]) e, occasionalmente, per l’interessamento delle articolazioni e/o delle sinovie;
    • Dall’esame bioptico dell’osso e/o dal prelievo del liquido sinoviale si possono spesso isolare gli amastigoti; questo fa propendere per un’infezione diretta delle strutture interessate, anche se il rilievo di tali lesioni concomitantemente alla febbre ed all’uveite, fa pensare ad una patogenesi autoimmunitaria;
    • Queste forme di interessamento osteo-articolare rispondono al trattamento con farmaci steroidei, non disgiunto da quello chemioterapico specifico;
  • Insufficienza RenalePoliuria (produzione di urina in quantità superiori alla norma) e/o polidipsia (aumento eccessivo del bisogno di bere): il rilievo di tali sintomi può essere indicativo di un danno renale che, talvolta, può essere l’unico segno clinico della malattia.
    Gli animali colpiti mostrano una grave forma nefritica o nefrosica, derivante da una glomerulonefrite mesangioendoteliale proliferativa di tipo 1 o 2, oppure da nefriti tubulo-interstiziali, che si esprimono con edemi discrasici, versamenti cavitari, proteinuria ed innalzamento dei livelli sierici di urea (BUN) e creatinina. Secondo alcune personali osservazioni questa fenomenologia clinica risulta più frequente nei cani di razza Alano e Boxer (Ciaramella, De Luna, 1999; Oliva, 1999, 2002).
    Circa la metà dei cani leishmaniotici (49,5 %) ha un qualche grade di patologia renale; questi cani inoltre sono in maggioranza ipertesi (61,5 %). Raramente l’ipertensione non è associabile a lesioni renali. La conseguenza più frequente di questo stato è l’ipertrofia ventricolare sinistra (91,4 %), raramente si hanno anche ripercussioni oculari (5,7 %). Deve essere rimarcato che l’ipertensione non si presenta esclusivamente negli stadi più gravi della malattia renale secondaria alla leishmaniosi, ma anche nelle fasi più precoci, prima cioè che l’iperazotemia possa essere rilevata, magari quando è presente solo un grado moderato di proteinuria (Cortadellas et al., 2006);
  • Diarrea: come accennato in precedenza, tale sintomo, a differenza che nell’uomo, non è molto comune. È in genere imputabile ad una colite cronica o come conseguenza dell’uremia terminale (l’ultima fase dell’insufficienza renale cronica); si presenta acquosa, mista a sangue vivo e/o muco, ed è accompagnata da tenesmo e da aumento della frequenza delle defecazioni.
    L’esame endoscopico mette in evidenza una estesa iperemia della mucosa del colon, su cui è possibile osservare anche piccole ulcere gementi sangue: la biopsia rivela un’infiltrazione linfo-plasmocitaria ed istiocitaria, nonché numerose forme di Leishmania;
  • Sangue:
    • Anemia: segno clinico frequente che chiama in causa diversi meccanismi patogenetici, fra cui risulta importante l’accentuata attività emocataretica da parte del SRE splenico sui globuli rossi opsonizzati (semplificando: “rivestiti”) da immunocomplessi. Solitamente l’anemia è normocromica normocitica e scarsamente rigenerativa (comparsa lenta e cronica);
    • Trombocitopenia (piastrinopenia): spesso presente (anche se solitamente le piastrine risultano comunque superiori a 40000/mm3) e può spiegare in parte l’epistassi (così come il possibile sanguinamento vaginale e le petecchie peniene), del resto dovuta anche alle ulcere sulla mucosa nasale ed a livello delle narici;
    • Leucopenia;
    • Pancitopenia (associazione delle 3 condizioni precedenti);
  • Sintomi meno comuni: si possono segnalare il granuloma penieno (a livello di glande) ed una forma petecchiale peniena, caratterizzata da un’area anulare della larghezza di circa 4 mm, in cui è possibile evidenziare piccole zone, di circa 1 - 2 mm e di colorito rosso vivo, ricche di leishmanie (esame citologico eseguito per impronta).
    Sono state anche riportate lesioni endometriali granulomatose nella cagna, responsabili di aborto nella fase avanzata della gravidanza (46° - 48° giorno).

4.6. Nelle rare forme acute

Il quadro clinico è più grave: inizia con febbre elevata e discontinua, anoressia ed abbattimento generale. Poi compaiono le lesioni cutanee, il dimagrimento con iperestesia generale ed infine fenomeni di paresi e paralisi del treno posteriore seguiti dalla morte in pochi giorni.
Paresi del treno posteriore, zoppie, tremori, iperestesie generalizzate, associati a febbre serale e debolezza generalizzata, rappresentano i sintomi che indicano un coinvolgimento del sistema nervoso (sintomi nervosi generalmente in cani giovani [6 mesi - 3 anni]). Però in molti casi non è stata chiarita l’eziopatogenesi di tali reperti, per cui sono state evocate delle aspecifiche nevralgie prescindendo dai meccanismi chiamati in causa nel determinismo delle stesse.
Ciò nonostante alcuni studi hanno messo in evidenza la presenza di macrofagi parassitati da amastigoti nel sistema nervoso centrale (plessi corioidei) di cani infetti, sia in assenza che in concomitanza di quadri istologici di corioidite; da un punto di vista clinico, però, non risultavano associati sintomi neurologici importanti (segnalate unicamente letargia ed estrema debolezza).

Secondo Basile la presenza del parassita nel sistema nervoso si verificherebbe soltanto nell’ultimo stadio della malattia e sarebbe limitato alle meningi ed ai plessi corioidei. Una ricerca condotta da Garcia-Alonso e coll. su cani naturalmente infetti, ha dimostrato, nei plessi corioidei, una cospicua presenza di antigeni di Leishmania ed immunoglobuline a livello interstiziale, perivascolare ed intravascolare, associata a reazioni infiammatorie con depositi di amiloide a localizzazione subependimale, interstiziale ed intravascolare (capillari sinusoidali). Vi era anche una reazione simil-spongiforme con quadri di degenerazione neuronale e necrosi, associati ad intensa mobilizzazione della microglia.

Devono essere ulteriormente approfondite le conoscenze relative alla capacità posseduta dalle leishmanie di invadere i tessuti nervosi ed indurre sintomatologie relative, soprattutto sulla scorta delle segnalazioni riguardanti la specie umana, ove sono stati individuati amastigoti di Leishmania nel liquido cefalorachidiano di bambini splenectomizzati, portatori di sintomi riferibili a meningoencefalite.

4.7. Lesioni anatomo - patologiche

[Il testo che segue è tratto da "Argomenti di patologia tropicale e sub-tropicale degli animali domestici" di G. Colella - Edagricole™, 1979.]

Le lesioni oculari e cutanee, l’allungamento delle unghie, lo stato anemico e la marcata ipotrofia delle masse muscolari sono tutti segni caratteristici ed abbastanza evidenti che possiamo riscontrare all’esame ispettivo esterno.
Le lesioni invece a carico degli organi interni non sempre sono altrettanto evidenti e macroscopicamente apprezzabili, esse infatti possono variare di intensità in rapporto a vari fattori tra cui la gravità dell’infezione e il decorso della malattia.

La milza può risultare lievemente ingrossata come anche considerevolmente aumentata di volume (da 2 a 4 volte); la consistenza dell’organo è sostenuta; al taglio la polpa, di colorito rosa pallido o rosso mattone, può debordare e presenta una trabecolatura evidente ed ispessita; i follicoli risultano aumentati di volume.

Foto di un linfonodo di un cane leishmaniotico.

I linfonodi, tutti o la maggior parte, risultano congesti e notevolmente ingrossati fino al volume di una nocciola o di una noce di Sorrento; la superficie di taglio presenta un colorito grigiastro nella parte corticale e bruno nocciola, bruno rossastro nella parte midollare.

Il midollo osseo si presenta di colorito rosso vivo e di aspetto gelatinoso o addirittura fluente nelle gravi parassitosi.

Il fegato risulta di norma ingrossato con i margini arrotondati e di consistenza aumentata. Le lesioni riscontrabili sono di intensità variabile e possono andare dalla semplice congestione dell’organo, alla degenerazione albuminoidea, alla steatosica ed alla cirrosi. Sulla superficie esterna risulta evidente la divisione lobulare per l’ipertrofia dei setti interlobulari; sulla superficie di sezione il disegno lobulare è ancora più evidente per l’ispessimento della trama connettivale che si presenta di color grigio traslucido; i centri lobulari, di colorito grigiastro, presentano i segni della degenerazione torbida.

I muscoli scheletrici manifestano una decisa ipotrofia più o meno generalizzata.

A carico degli altri organi possiamo notare, ma meno frequentemente: un ispessimento della parete intestinale con ipertrofia delle placche del Peyer e congestione della mucosa; versamenti sierosi o siero-emorragici nella cavità toracica con ipertrofia dei linfonodi mediastinici e degenerazione del miocardio.

All’esame istologico le lesioni sono invece molto evidenti: la leishmaniosi è essenzialmente una reticolo-istiocitosi parassitaria sistemica e la reazione istiocitaria che ne deriva, per il suo carattere generalizzato e per l’abnorme produzione di plasmacellule, produce un quadro patologico paragonabile, secondo Di Domizio (1955), a quello della leucemia plasmacellulare.
Gli organi maggiormente interessati sono, oltre al tessuto dermico, la milza, i linfonodi, il midollo osseo ed il fegato; in tutti possiamo riscontrare:

  • Infiltrati di plasmacellule e di altri elementi derivanti dal SRI;
  • Aggregati cellulari costituiti da cellule epitelioidi, plasmacellule, linfociti, molti emoistioblasti e cellule derivate con diverse leishmanie nel loro citoplasma;
  • Elementi istiocitari (specie a carico del fegato e della milza) infarciti di emosiderina, espressione di un’attiva emocateresi.

Si possono inoltre riscontrare fatti trombotici dovuti, secondo Galati (1958), ad alterazioni degli endoteli vasali causate dagli stessi parassiti.

Il fegato e la milza dei cani sintomatici presentano una carica parassitaria maggiore di quelli degli asintomatici. Nel fegato dei cani asintomatici si evidenzia un’immunità efficace, con granulomi ben organizzati che circondano i parassiti con diverse cellule, quali linfociti T della memoria (CD44), CD45RO ed effettori attivati (CD44). In questi granulomi sono presenti anche molte cellule dendritiche CD11c+ e cellule con antigeni di classe II+ del complesso maggiore di istocompatibilità. In contrasto il fegato dei cani sintomatici presenta infiltrati (non organizzati e non efficaci) di linfociti T e cellule del Kupffer severamente parassitate (Sanchez et al., 2004).

5. Rilievi di laboratorio

Riscontri di laboratorio nei cani con leishmaniosi viscerale (%) (Noli, 1999)
Parametro Frequenza (%)
Iperglobulinemia 70 - 100
Basso rapporto albumina/globuline 76
Ipoalbuminemia 68 - 94
Elevati livelli sierici di proteine totali (fino a 13 g/l) 63,3 - 91
Anemia normocitica, normocromica, iporigenerativa 21 - 94,2
Leucopenia (conteggio dei linfociti normale o basso) 22
Leucocitosi con spostamento a sinistra 8 - 24
Trombocitopenia 29,3 - 50
Iperazotemia e creatininemia 38 - 45
Aumento degli enzimi epatici 16 - 61
Proteinuria 29 - 91
Positività dell’ANA-test 31 - 47
Positività del test di Coombs (soprattutto debole) 10 - 84

Aspetti di coinvolgimento renale

Segni indice di coinvolgimento renale (in alcuni casi è l’unico segno clinico di leishmaniosi):

  • Ipoalbuminemia: dipendente anche dall’enteropatia proteinodisperdente, processi flogistici, diminuita sintesi epatica;
  • Proteinuria: solitamente di tipo misto, cioè tubulare e glomerulare prevalentemente selettiva; per cui tramite SDS-PAGE (elettroforesi su gel di poliacrilamide - sodio - dodecil - solfato) saranno evidenziabili soprattutto proteine di peso molecolare basso e medio [14400 - 94000 D]: albumina [69000 D], transferrina [90000 D], β2-microglobulina [11800 D].
    È una proteinuria molto precoce in quanto si rileva prima dell’aumento della creatininemia e dell’uremia, ed è anche in qualche modo proporzionale al danno renale soprattutto se è accompagnata ad altre alterazioni dell’esame urinario come la presenza di cilindri granulosi o cerei.
    È risultato che l’SDS-AGE, nel rilevamento delle lesioni renali miste, difetta in specificità; infatti può evidenziare la proteinuria in soggetti non nefropatici ma, per esempio, affetti da patologie infiammatorie o neoplastiche a livello delle basse vie urinarie (ureteri, vescica, ecc.). È quindi fondamentale interpretare il dato alla luce del profilo biochimico di base e dell’esame delle urine completo, che escludano fenomeni infiammatori o di altra natura (Abate et al., 2005).
    L’esame delle proteine spesso è limitato da difficoltà operative ma andrebbe effettuato sistematicamente in virtù della sua sensibilità, come marker precoce di danno renale e per il basso costo di realizzazione (Ciaramella, De Luna, 1999).
    Si verifica anche enzimuria (ALT soprattutto);
  • Poliuria - polidipsia: spesso riferite dall’anamnesi; compaiono quando l’80% dei glomeruli renali sono persi irreversibilmente;
  • Edemi discrasici, versamenti cavitari: in relazione soprattutto all’ipoalbuminemia;
  • Aumento della creatininemia e dell’uremia: il secondo si rende evidente quando il filtrato glomerulare è ridotto a circa il 33% di quello normale; il persistere di questi tassi elevati, nonostante un’idonea ed adeguata terapia, ha valore prognostico infausto;
  • L’aumento delle α2-globuline sieriche (α2-macroglobulina, α2-lipoproteine [VLDL, lipoproteine a bassissima densità]) che si può osservare nelle fasi di cronicizzazione della malattia è espressione di grave danno renale (nefrite o nefrosi);
  • Le lesioni renali caratteristiche sono determinate da una grave sindrome nefritica e/o nefrosica causate da glomerulonefrite mesangioendoteliale proliferativa e/o nefrite tubulo-interstiziale;
  • L’Alano ed il Boxer sembrerebbero manifestare una certa predisposizione per questi segni di interessamento renale (edemi discrasici e versamenti cavitari, proteinuria, aumento della creatininemia e dell’uremia) (Ciaramella, De Luna, 1999; Oliva, 1999, 2002);
  • Le lesioni renali sono immunomediate (deposizione di immunocomplessi che attivano il Complemento (C’), attivazione del C’ per via alternativa od autoanticorpi anti - membrana basale glomerulare; infatti sono state messe in evidenza IgG, IgM (anticopri) e C3 (frazione del C’) a livello mesangiale glomerulare e a livello di membrana basale tubulare);
  • Possibilità di amiloidosi (insieme a quella splenica ed epatica) evidenziata sempre a livello glomerulare;
  • Se l’insufficienza renale che si realizza arriva al 75% la terapia facilmente sortirà esito negativo.

6. Diagnosi

Nelle aree endemiche per leishmaniosi canina, i test sierologici devono far parte dello screening di routine, ed ogni cane malato deve essere considerato potenzialmente infetto fino a prova contraria.

A. Blavier, S. Keroack, P. Denerolle, I. Goy-Thollot, L. Chabanne, J.L. Cadoré, G. Bourdoiseau

Approfondimento: limiti diagnostici della sierologia (articolo di Jacques Lamothe).

In zone dove la leishmaniosi ha un’ampia diffusione, spesso si ha la tendenza ad etichettare un cane solo sulla base dei sintomi clinici, magari con qualche dato di laboratorio aspecifico. Ovviamente è fondamentale non fermarsi ad una valutazione del genere, ma procedere onde addivenire ad una diagnosi con metodo specifico; altrimenti si corre il rischio di non diagnosticare più del 50% dei casi realmente infetti (Gradoni, 2002).

6.1. Diagnosi differenziale

Molti dei segni clinici rilevabili in corso di leishmaniosi, sono comuni anche ad altre patologie, altrettanto comuni nelle zone endemiche, che possono essere concomitanti con la leishmaniosi stessa. Questo fatto, oltre a complicare la diagnosi, rende ancor più difficoltosa l’applicazione di un protocollo razionale per ciò che concerne la terapia (già di per sé aspetto piuttosto delicato).

La tabella che segue può essere utile in ambito diagnostico differenziale.

Diagnosi differenziale della leishmaniosi canina (Ciaramella, De Luna, 1999)
Malattia Decorso Quadro clinico Rilievi di laboratorio
EPATOZOONOSI Subacuto - cronico Esposizione alle zecche; diarrea, anoressia, scolo nasale ed oculare, paraparesi, dimagrimento, osteoalgia e mialgia, febbre, talora linfoadenomegalia Neutrofilia, monicitosi, gametociti nei neutrofili e nelle fibrocellule muscolari, ipergammaglobulinemia, modica anemia
RICKETZIOSI Acuto - cronico Esposizione alle zecche; febbre 39,5 - 40 °C, anoressia, profonda depressione, mialgia e artralgia, congiuntivite, deficit vestibolari, linfoadenomegalia, aritmie, dispnea, edemi Leucocitosi, monocitosi, anemia normocromica normocitica, trombocitopenia; aumento di ALT, AST, GGT, BUN; test sierologici specifici (IFAT > 1/128)
EHRLICHIOSI Acuto - cronico Esposizione alle zecche, febbre superiore a 40 °C, depressione, anoressia, mucose pallide, tendenza al sanguinamento, splenomegalia, linfoadenomegalia, uveite, segni neurologici Marcata pancitopenia; aumento di ALT, AST, ALP; ipergammaglobulinemia, test sierologici specifici (IFAT > 1/100)
BABESIOSI Iperacuto - acuto - cronico Esposizione alle zecche, depressione, febbre, anoressia, mucose pallide, itteriche, splenomegalia, petecchie, emoglobinuria, DIC. Portatori cronici Anemia rigenerativa, test di Coombs positivo, bilirubina aumentata, presenza dei parassiti nei globuli rossi, test sierologici specifici (IFAT > 1/140)
LINFOMA Subacuto - cronico Linfoadenomegalia sistemica o regionale, dimagrimento, mucose pallide, splenomegalia, epatomegalia, diarrea Presenza di cellule linfomatose nel puntato linfonodale, midollare e/o sangue circolante; aumento di ALT, AST, ALP, bilirubina, BUN e calcio; anemia normocromica normocitica
DERMATITE ALLERGICA ALIMENTARE Cronico Prurito non stagionale, eritema diffuso coinvolgente l’addome, il dorso, la testa e la regione perianale, cui fa seguito alopecia, lichenificazione ed iperpigmentazione, otite esterna Possibile eosinofilia e positività ai test intradermici; test dietetico
DERMATITE ALLERGICA DA MORSO DI PULCI Cronico Esposizione alle pulci, prurito stagionale, eritema diffuso, talvolta crostoso localizzato alle regioni inguinali, perineali, dorso - lombari e agli arti posteriori. Pelo spezzato Presenza di pulci o di detriti (feci); test intradermici
DERMATITE ATOPICA Cronico Alopecia periorbitale, prurito, leccamento delle estremità delle zampe, crisi di starnuti, lacrimazione, otite esterna, adenite perianale Test intradermico
DEMODICOSI Subacuto - cronico Animali giovani o immunodefedati (l’affezione può essere concomitante alla leishmaniosi, per l’immunodeficienza che l’accompagna); eritema perioculare o follicolite diffusa pustolosa, in genere non pruriginosa; pododermatite Presenza di Demodex canis al raschiato cutaneo [foto di un cane con demodicosi]
ROGNA SARCOPTICA Subacuto - cronico Animali giovani o immunodefedati; lesioni (papule e croste) inguinali, ascellari, margini dei padiglioni auricolari o diffuse, in genere pruriginose. Contagiosità Presenza di Sarcoptes scabiei al raschiato cutaneo

6.2. Esami di laboratorio

Gli esami di laboratorio sono di fondamentale importanza al fine di emettere correttamente la diagnosi, ma anche a fini prognostici e come monitoraggio durante la terapia.

Classificazione degli esami di laboratorio:

  • Esami specifici:
    • Parassitologici (previa biopsia linfonodale, cutanea, del midollo osseo, della milza, ecc.) (tecniche dirette):
      • Strisci di materiale opportunamente colorato onde evidenziare gli amastigoti;
      • Esami colturali (isolamento delle leishmanie: promastigoti);
      • Xenodiagnosi (rilevazione della Leishmania negli insetti vettori);
    • Sierologici (tecniche indirette):
      • IFAT (IFI);
      • ELISA;
      • Dot ELISA;
      • IHAT (emoagglutinazione indiretta);
      • CIEP (controimmunoelettroforesi);
      • Fissazione del Complemento;
      • Test all’inchiostro di china;
    • PCR (reazione a catena della polimerasi, diagnostica molecolare);
    • Prove biologiche;
  • Esami aspecifici:
    • Protidemia totale e frazionata (protidogramma), elettroforesi delle proteine sieriche;
    • Formol-gelificazione;
    • Esame emocromocitometrico;
    • BUN e creatininemia;
    • Enzimi epatospecifici (ALT, AST, ALP);
    • VES;
    • Esame delle urine;
    • Test di immunologia clinica (soprattutto per i fenomeni autoimmuni: latex test, test di Coombs e ANA-test).

Gli esami specifici sono quelli più importanti, in quanto consentono di ottenere la diagnosi di leishmaniosi in maniera diretta o indiretta. Invece gli esami aspecifici hanno l’utilità di segnalare al diagnosta una qualche forma di sofferenza d’organo o di apparato che possa essere - direttamente o indirettamente - correlata con la leishmaniosi. Inoltre le indagini diagnostiche aspecifiche sopra elencate, hanno l’indubbia utilità di permettere controlli nel tempo, consentendo una duplice informazione: valutazione delle condizioni generali del paziente in senso dinamico ed apprezzamento della risposta alla terapia.

Da quest’ultimo punto di vista, al contrario, gli esami specifici assumono una minor rilevanza, per lo meno nel breve periodo, in quanto difficilmente, nel cane, è possibile ottenere una negativizzazione parassitologica, a prescindere dalla bontà (in senso lato) della terapia.

È da rimarcare come non ci sia accordo fra i dati riportati dai diversi Autori, per quanto riguarda la sensibilità e la specificità dei metodi diagnostici specifici. Le maggiori discordanze dell’efficacia relativa dei diversi tool diagnostici, si verificano soprattutto allorché vengono considerati gli studi (campioni) trasversali (cross-sectional samples), molto frequenti nella pratica veterinaria, invece degli studi longitudinali, come quelli caso-controllo (case-control studies) (Gradoni, 2002).

6.2.1. Esame parassitologico

Questo tipo di esame diagnostico andrebbe sempre preso in considerazione, soprattutto al cospetto di pazienti sintomatologicamente sospetti (oligosintomatici) con IFI dubbia o negativa, come anche in seguito a terapia e negativizzazione dell’esame sierologico.

Gli strisci di materiale bioptico (linfonodale, midollare, splenico, epatico, ecc.) possono essere colorati col metodo di Giemsa (preceduto dalla fissazione di May-Grünwald o con metanolo) che permette un’agevole evidenziazione degli amastigoti.

È doveroso aggiungere però che non sempre l’esame microscopico è risolutivo. Nelle frequenti paucinfezioni infatti il numero di protozoi risulta scarso; in generale un campione dovrebbe essere considerato negativo quando vengano esaminati 1000 campi con obiettivo 100X senza alcun riscontro parassitologico. Ciò evidenzia che tale esame, pur altamente specifico, è relativamente sensibile, e quindi di scarsa utilità nelle ricerche di massa, con un numero di campioni da esaminare elevato (Mancianti, 2001).

La rilevazione di amastigoti nel sangue periferico, pur possibile, è molto rara (a meno di non utilizzare particolari tecniche di concentrazione), sia nell’uomo che nel cane. Quando questa è possibile, si tratta in genere di fasi precoci d’infezione, anche se è stato segnalato il ritrovamento di un numero notevole di amastigoti nel sangue circolante di un cane in un periodo diverso da quello di piena infettività (Foglia Manzillo et al., 2005).

6.2.2. IFI

  • Esame semplice e rapido, anche se presenta lo svantaggio di richiedere infrastrutture operative specifiche (università pubbliche, laboratori privati);
  • Tecnica sicura, in quanto dotata di specificità (semplificando, un esame con specificità del 100% è quel test che evidenzia solo ed esclusivamente quel dato parametro e non altri che possono avere delle analogie con esso) e sensibilità (semplificando, un esame altamente sensibile è quel test che evidenzia anche quote infinitesime di quel dato parametro) elevate, pur potendosi riscontrare un 5-6% di falsi negativi (Bizzeti et al., 1989). È altresì segnalata una sensibilità fra il 98,4 ed il 99% (Mancianti, 2001) (semplificando, i falsi negativi sono quei risultati negativi per un errore insito nella tecnica, per un difetto di sensibilità [nel senso suddetto] del test stesso);
    • Viene riportata una specificità del 100% per titoli anticorpali superiori a 1/160, valore che attualmente viene accettato da esperti italiani e francesi come titolo soglia per diagnosticare un’infezione da Leishmania (Mancianti, 2001).In passato è stato anche fatto riferimento ad un sospetto in caso di titolo 1/40 e ad una pressoché certa positività in caso di titolo 1/80 (Bizzeti et al., 1989).Si può quindi affermare che un riscontro sierologico positivo a titolo superiore o uguale a 1/160 indica sempre infezione in atto; mentre titoli compresi fra 1/40 e 1/80, in assenza di sintomi, devono essere considerati dubbi (controlli bimestrali); inoltre si può avere malattia anche con sierologia negativa (Mancianti, 2001);
    • Secondo Mancianti (2001) gli animali asintomatici ma con titolo elevato (uguale o superiore a 1/160) andrebbero comunque sottoposti a terapia, sia per evitare o comunque ritardare un’eventuale fase clinica della patologia, sia a scopo profilattico per evitare, se così si può dire, lo stato di portatore asintomatico, cioè di serbatoio d’infezione per gli altri animali e per l’uomo.Secondo Oliva (2002), invece, le tendenze recenti indicherebbero di sottoporre a terapia specifica solo gli animali nei quali sia dimostrabile il parassita (isolamento, osservazione microscopica, ecc.); e questo almeno per titoli anticorpali IFAT uguali o superiori a 1/80 - 1/160, anche se in presenza di segni clinici di malattia (nessuno dei quali patognomonico);
  • La metodica utilizza come antigeni promastigoti di Leishmania fissati su vetrino:
    • Diluizione del siero in esame per raddoppio in base 10;
    • Incubazione con l’antigene per 30 minuti a 37°C;
    • Lavaggio;
    • Aggiunta di un’antiglobulina specifica coniugata con isotiocianato di fluorescina;
    • Incubazione a 37°C;
    • Lavaggi;
    • Montaggio dei vetrini con glicerina;
    • Osservazione dei vetrini con microscopio a raggi ultravioletti;
    • I sieri positivi conferiscono una netta fluorescenza ai promastigoti ed al flagello;
  • Si tratta di un esame che dipende piuttosto strettamente dall’interpretazione personale dell’esaminatore, per cui dovrebbe essere effettuato sempre presso lo stesso laboratorio e, nei casi dubbi, solitamente di fronte a titoli bassi, è consigliabile la ripetizione magari a distanza di 20 - 30 giorni.Sempre in relazione a titoli dubbi, necessita di un ulteriore supporto diagnostico attraverso la ricerca dei parassiti nei linfonodi o nel midollo osseo (esame parassitologico) (Bizzeti et al., 1989).

I risultati positivi dei test sierologici indicano soltanto un’infezione, la quale non necessariamente coincide con uno stato di malattia (differenza fra infezione e malattia infettiva). Del resto non è detto che alla puntura di un vettore infetto succeda uno stato di infezione persistente; forse questa si realizza solo in conseguenza di diversi contatti tra il parassita e l’ospite (Mancianti, 2001).

In generale una tecnica sierologica attendibile (com’è l’IFAT), rileva con maggiore precisione gli anticorpi negli stadi avanzati dell’infezione, sia negli animali sintomatici sia in quelli asintomatici; ma non si deve dimenticare che esistono diversi casi che possono andare incontro a sieroconversione da positivi a negativi, nel corso dell’infezione stessa.

Si consiglia la lettura dell’articolo di Jacques Lamothe, sui limiti della sierologia nella diagnosi della leishmaniosi canina.

6.2.3. PCR

Si tratta di un metodo in vitro per la sintesi di una sequenza specifica di DNA; si usa per identificare piccole quote di DNA specifico (oligonucleotide) di un organismo, in diversi campioni, attraverso un’amplificazione logaritmica.

Nella diagnosi della leishmaniosi canina la PCR può essere eseguita su sangue intero, midollo osseo, linfonodo o altri tessuti bioptici. Un metodo innovativo, non invasivo, è risultato quello che consiste nel prelievo, tramite tampone di cotone sterile per batteriologia, di materiale esfoliativo congiuntivale (congiuntiva palpebrale); questo metodo è risultato sensibile (92%), soprattutto se il prelievo viene effettuato da entrambi gli occhi, e specifico (100%) (Strauss-Ayali et al., 2004 [PDF]). Partendo dalla considerazione che i cani leishmaniotici hanno notevoli cariche parassitarie a livello cutaneo a prescindere dalla presenza di lesioni specifiche, anche la PCR su campioni bioptici cutanei del padiglione auricolare ha dato buoni risultati di sensibilità e specificità (Xavier et al., 2006 [HTML - PDF]).

Possono essere utilizzati primers (sequenze specifiche di oligonucleotidi che reagiscono col materiale genomico in questione) universali di Leishmania oppure specie-specifici (questi ultimi permettono di evidenziare la specie esatta di Leishmania).

La tecnica risulta più sensibile dell’osservazione diretta (strisci e colture) e della sierologia, nella diagnosi sia di leishmaniosi canina che umana. La tecnica è utile anche durante e dopo il trattamento, per cui può contribuire all’eventuale scelta della sospensione della terapia (Roura, 2001).

Certamente anche la PCR non è scevra da limiti: non permette di differenziare un parassita “vivo” da uno “morto” (perché può rilevare la presenza di DNA parassitario non vitale, con la possibilità di risultati falsamente positivi) e richiede un personale più che qualificato, al fine di evitare le contaminazioni crociate, sia durante i prelievi sia al laboratorio (col rischio di falsi positivi) (Guetta, 2000). Xavier e coll. (2006, cit.) raccomandano cautela nell’interpretazione dei risultati della PCR perché la positività non necessariamente corrisponde alla presenza di parassiti vivi nei tessuti e quindi non è detto che tutti i cani positivi siano infettanti.

In genere questa tecnica rileva, in maniera più attendibile e con maggior precisione, gli stadi precoci della malattia, e quindi anche i casi transitori ed autolimitanti, cioè quei cani che in qualche modo risolvono l’infezione (Gradoni, 2002).

6.2.4. Protidogramma (elettroforesi delle proteine sieriche [Bizzeti, 1998])

Distribuzione delle proteine del plasma sul tracciato elettroforetico (Figura 1)

Tracciato elettroforetico normale

Fig. 1 - Tracciato normale in soggetto sano.

Tracciato elettroforetico: aumento delle beta e gamma globuline

Fig. 2 - Aumento policlonale delle β e γ - globuline (infezione recente).

Tracciato elettroforetico: aumento delle beta e gamma globuline

Fig. 3 - Aumento policlonale delle β e γ - globuline (aspetto a pan di zucchero)

Tracciato elettroforetico: ipoalbuminemia, aumento delle beta e gamma globuline

Fig. 4 - Ipoalbuminemia, aumento policlonale delle β e γ - globuline (infezione di vecchia data).

Tracciato elettroforetico: infezione di vecchia data

Fig. 5 - Tendenza del picco β - γ oligoclonale a trasformarsi in monoclonale (infezione di vecchia data).

Tracciato elettroforetico: aumento delle alfa 2 globuline

Fig. 6 - Aumento delle α2 - globuline (ricaduta, riacutizzazione).

Tracciato elettroforetico: infezione vecchia tendente alla riacutizzazione

Fig. 7 - Picco oligoclonale β - γ con un iniziale aumento delle α2 - globuline (infezione di vecchia data con tendenza alla riacutizzazione).

Tracciato elettroforetico: infezione di vecchia data

Fig. 8 - Ipoalbuminemia e picco oligoclonale delle β e γ (aspetto ad orecchie di gatto; infezione di vecchia data).

Tracciato elettroforetico: infezione molto vecchia

Fig. 9 - Marcata ipoalbuminemia e picco monooclonale delle γ (infezione molto vecchia).

Oltre all’albumina (la parte all’estrema sinistra del tracciato) si annoverano:

  • α1 - globuline:
    • α1 - antichimotripsina;
    • α1 - antitripsina;
    • α1 - lipoproteina;
    • proteina C - reattiva;
    • sieroamiloide - A;
    • orosomucoide;
  • α2 - globuline:
    • α2 - macroglobulina;
    • aptoglobina;
    • ceruloplasmina;
    • pre - β - lipoproteina;
  • β1 - globuline:
    • transferrina;
    • emopessina;
    • β - lipoproteina;
  • β2 - globuline:
    • fattore C3;
    • eventuale migrazione delle IgM e IgA;
  • γ - globuline:
    • IgG;
    • IgM;
    • IgA;
    • eventualmente IgE.

Questo esame fa parte dell’insieme dei rilievi della misurazione quantitativa e qualitativa della protidemia; gli altri sono il dosaggio della protidemia totale (PT) ed il rapporto albumina / globuline (A/G).

Di solito la PT risulta aumentata, ma in alcuni casi può essere normale o solo leggermente innalzata; questo può dipendere dal fatto che l’elevazione delle β e γ - globuline è accompagnata, a volte, dalla diminuzione dell’albumina.

Nei casi disprotidemici il rapporto A/G è sempre inferiore a 0,60. Tale disprotidemia è essenzialmente dovuta ad una diminuzione dell’albumina, ad un aumento delle β e γ - globuline e talvolta delle α2 - globuline.

L’innalzamento delle β - globuline è conseguenza della migrazione in questa banda elettroforetica di alcune immunoglobuline (IgM, IgA), del fattore C3 del complemento, del fibrinogeno e della transferrina. La presenza di tali sostanze in eccesso denota una reazione flogistica in atto e, per quanto concerne la transferrina, l’esistenza di una carenza marziale conseguente ad emolisi autoimmune o alla flogosi stessa.

La fusione delle β e γ - globuline in un picco policlonale indica una produzione eterogenea di immunoglobuline aspecifiche (figg. 2 e 3).

In presenza di riacutizzazioni della malattia, o di forme acute di processi flogistici concomitanti, può essere presente un innalzamento delle α2 - globuline, banda elettroforetica in cui migrano le così dette proteine della fase acuta della flogosi (aptoglobina, α2 - macroglobulina, ceruloplasmina): un alto picco delle α2 - globuline può anche conseguire ad un interessamento renale.

La persistenza dell’iper - α2 - globulinemia dopo trattamento, o la sua ricomparsa in caso di recidive, testimonia l’esistenza di una guarigione clinica spiccatamente instabile (figg. 6 e 7).

Un’iper - γ - globulinemia con picco monoclonale a banda stretta, tipica delle forme più avanzate e di vecchia data, si ha per abnorme sviluppo di un singolo clone anticorpale immaturo (IgG). Questo fatto potrebbe anche avere il significato che esiste un clone maligno e che il processo morboso potrebbe evolvere verso una neoplasia.

L’aumento delle γ - globuline è a carico delle IgM e soprattutto delle IgG, che però non risultano efficaci dal punto di vista immunoprotettivo.

Quando la rilevazione della protidemia indica un’ipoalbuminemia, soprattutto con PT superiori a 7 g/dl (od a 8), ed un aumento delle β e γ - globuline, si deve stabilire un forte sospetto di leishmaniosi (Bizzeti et al., 1989).

Ci sono dei quadri elettroforetici che possono apparire analoghi a quelli riscontrati in corso di leishmaniosi (anche se l’aspetto clinico ed altri parametri di laboratorio sono diversi).

Similitudini si possono osservare in corso di piometra, ma soprattutto nelle piodermiti profonde del Pastore Tedesco (in cui può insospettire l’aumento delle β e γ - globuline, anche se tale incremento interessa più che altro la frazione β1, mentre nella leishmaniosi la β2).

La tabella sottostante riporta i valori che gli Autori della stessa considerano normali; i dati di riferimento, se riportati da altri, possono variare leggermente.

Valori normali della protidemia nel cane
Parametro Valore assoluto (Buonaccorsi, 1995) Valore percentuale (%) (Bizzeti et al., 1989)
PT 5,4 - 7,1 g/dl (100)
Rapporto A/G 1 - 1,5
Albumina 2,2 - 3,2 g/dl 50 - 60
Globuline α1 0,3 - 0,8 g/dl 2 - 4,5
Globuline α2 0,5 - 1,2 g/dl 2 - 4,10
Globuline β 0,7 - 1,6 g/dl 10 - 22,5
Globuline γ 0,4 - 1 g/dl 8 - 15

Tre delle proteine della fase acuta sopra menzionate - aptoglobina, proteina C - reattiva e ceruloplasmina - si sono rivelate piuttosto utili nella diagnosi della malattia e della relativa fase, con interesse quindi anche prognostico.

I livelli di tutte e tre risultano significativamente più alti nei cani positivi rispetto a quelli non infetti; inoltre la concentrazione della proteina C-reattiva è significativamente più alta nei cani sintomatici rispetto a quelli asintomatici.

Questi dati, indubbiamente utili, non debbono però essere sopravalutati (così come in generale la fruibilità della sieroelettroforesi), in quanto esistono diverse altre condizioni che possono determinare un incremento dei livelli delle proteine della fase acuta (rischio di false positività): le concentrazioni di aptoglobina e ceruloplasmina sono aumentate in caso, per esempio, di traumi chirurgici e di poliartriti, così come la proteina C - reattiva aumenta nella leptospirosi, nella tripanosomiasi, nelle enteriti batteriche ed emorragiche, nella parvovirosi, nell’ehrlichiosi ed in seguito ad interventi chirurgici. Tutte e tre le proteine, inoltre, possono subire incrementi anche durante i trattamenti corticosteroidei (Martìnez-Subiela et al., 2002).

6.2.5. Test rapidi ambulatoriali

In commercio ne esistono diversi. Generalmente si basano sul principio sierologico della rilevazione degli anticorpi anti - Leishmania. Ultimamente è andato affermandosi il principio dell’immunomigrazione. Questi test si prestano per una diagnosi sierologica direttamente in ambulatorio in quanto non necessitano di particolari attrezzature né di personale particolarmente addestrato.

Il test SpeedLeish® è risultato di buona affidabilità, associata alla facilità e rapidità di esecuzione, caratteristiche che lo rendono utile nella pratica ambulatoriale, anche se i risultati ottenuti vanno confermati attraverso metodiche diagnostiche più rigorose presso laboratori specializzati (come IFI o PCR).

Paragonando i risultati dell’immunomigrazione con quelli dell’IFI, è stata ottenuta una sensibilità del 93% ed una specificità del 97% (semplificando, il test risulta fornire risultati falsamente positivi in misura pressoché trascurabile, mentre sono più probabili i risultati falsamente negativi; semplificando ed approssimando, la possibilità che un risultato positivo corrisponda ad un “mancato contatto” col parassita è piuttosto bassa).

Risultato negativo

Fig. 10 - Test SpeedLeish® negativo.

Risultato positivo

Fig. 11 - Test SpeedLeish® positivo (la banda netta è stata aggiunta in fotoritocco, ma rappresenta benissimo un analogo risultato reale).

Risultato dubbio

Fig. 12 - Test SpeedLeish® dubbio (modificata come la fig. precedente).

Rivò e collaboratori hanno considerato i risultati dubbi (fig. 12) come risultati negativi, al pari di quelli chiaramente negativi (fig. 10).

Le risposte dubbie necessiterebbero di ulteriori approfondimenti da parte del produttore del test perché possono creare dubbi a operatori poco esperti. Tali situazioni si verificano prevalentemente su soggetti risultati poi negativi all’IFI.

Queste risposte dubbie potrebbero essere dovute a reazioni crociate per altri agenti eziologici, fenomeno che, come asserito dal produttore stesso, sarebbe comune su sieri provenienti da zone dove la leishmaniosi è endemica (Rivò et al., 2000).

Nonostante l’accennata indubbia utilità di simili test, appare chiaramente evidente che, di fronte a risultati nettamente negativi o dubbi, non è facile decidere come procedere ulteriormente nell’accertamento diagnostico; mentre un approfondimento ulteriore è pressoché scontato di fronte a risultati di positività.

Del resto può essere utilizzato esclusivamente un test rapido ambulatoriale, con sufficiente sicurezza, per il controllo periodico dei cani che vivono in zone endemiche? O può essere sufficiente una semplice elettroforesi delle proteine sieriche? O entrambi?

6.2.6. Il problema della comprensione Th1/Th2 (Miranda et al., 2007)

Sulla base di quanto asserito nella pagina della patogenesi (paragrafo 3.2.1.1 - Il paradigma in dubbio) - i soggetti infetti con malattia clinicamente manifesta mostrano una risposta immunitaria prevalentemente umorale e non protettiva (simil-Th2), mentre i soggetti infetti che non sviluppano la malattia mostrano una risposta immunitaria prevalentemente cellulare e protettiva (simil-Th1) (Ferrer et al., 2000) - nella pratica clinica, sarebbe molto utile disporre di tecniche semplici, veloci e di basso costo, che permettano di determinare l’intensità della risposta immunitaria cellulare nei cani leishmaniotici, al fine di stabilire la prognosi e di valutare la risposta alla terapia. Il test cutaneo alla leishmanina (LST) è certamente il metodo più facilmente applicabile in condizioni pratiche, anche se la necessità del follow-up a 72 ore dall’inoculo, la variabilità intrinseca comune ad ogni test in vivo e la possibilità di indurre falsi positivi iatrogeni in seguito a test ripetuti, ne minano la fruibilità (Fernández-Bellon et al., 2005).

Una tecnica alternativa può essere la determinazione della variazione delle diverse sottopopolazioni linfocitarie ematiche in corso di terapia: ci sono diverse pubblicazioni sull’utilizzo in questo senso della citometria di flusso (Fc). In base a queste, risulta che nei cani malati si assiste ad una riduzione della percentuale dei linfociti T CD4+ e del rapporto CD4/CD8+, che si normalizzano in seguito alla terapia ed alla guarigione clinica (Bourdoiseau et al., 1997; Moreno et al., 1999; Guarga et al., 2000, 2002). Molti di questi studi, però, sono stati condotti su un numero di casi esiguo e con follow-up brevi o assenti.

Partendo dal presupposto ipotetico che la percentuale delle cellule CD4+ ed il rapporto CD4/CD8+ possano essere buoni indicatori dell’evoluzione della malattia e del relativo stato immunologico, Miranda e coll. hanno condotto uno studio volto a stabilire il numero di diverse sottopopolazioni di LT circolanti (CD3+, CD4+, CD8+ e CD21+) in cani infetti, estendendo il follow-up ad 1 anno, col fine di confermare se i predetti rilievi possano costituire buoni marker della gravità della malattia ed in corso di terapia (antimoniato di meglumina + allopurinolo). Sono stati inclusi nello studio 28 cani di vari razza, sesso ed età già diagnosticati positivi (ELISA, diagnosi parassitologica), senza alcun grado d’insufficienza renale (per l’importanza che rimanessero in vita per tutto l’anno di monitoraggio), sottoponendoli preventivamente a LST; i risultati dell’ELISA e di LST sono serviti per dividere i soggetti affetti in 2 gruppi: 17 cani “affetti moderatamente“, am (ELISA e LST positivi) e 11 cani “affetti gravemente“, ag (ELISA positivo, LST negativo), includendo infine anche 9 cani sani sieronegativi come controllo (c). I 28 cani affetti hanno ricevuto 30 giorni di terapia a base di Glucantime® (100 mg/kg SID) e Zyloric® (10 mg/kg BID). Ad 1 anno dal trattamento nessun cane è deceduto come conseguenza diretta o indiretta della leishmaniosi e tutti i soggetti ag, che inizialmente erano LST negativi, sono risultati LST positivi (cambiamento della risposta immunitaria cellulare). Non è stata rilevata alcuna differenza significativa delle percentuali delle sottopopolazioni di LT, né del rapporto CD4/CD8+ in tutti i controlli (al giorno 0 e poi al 1°, 6° e 12° mese) in tutti e tre i gruppi (am, ag e c).

Gli autori affermano che le discrepanze dei risultati di questo studio con quelli degli altri precedentemente citati, possono essere spiegate in diversi modi: per quanto riguarda la valutazione dei LT CD4+ al giorno della diagnosi, gli autori che hanno rilevato una diminuzione di questa sottopopolazione (Moreno et al., 1999 [cit.]; Guarga et al., 2002 [cit]), hanno studiato un numero di animali molto più basso, ed altri hanno incluso una popolazione di animali molto eterogenea ed alcuni soggetti erano in una fase della malattia decisamente avanzata. Anche nel presente studio è stata rilevata una certa diminuzione dei CD4+, in particolare nel sottogruppo ag, benché senza sufficiente significatività statistica. In riferimento al follow-up dell’evoluzione della percentuale di queste cellule, i risultati non sono facilmente comparabili con quelli delle due precedenti pubblicazioni citate - in cui veniva rilevato un aumento dei CD4+ in risposta alla terapia - sempre per il numero esiguo di animali di detti lavori; ma anche in questa prospettiva (follow-up dei CD4+ in risposta alla terapia nel sottogruppo ag) un aumento significativo di queste cellule si è verificato pure nel presente studio, anche se non nell’intero gruppo dei cani malati.

È importante notare che i valori normali delle sottopopolazioni linfocitarie nel sangue circolante, mostrano delle marcate variabilità individuali, e questo può spiegare i risultati contraddittori ottenuti da diversi gruppi di ricerca: mentre nel presente caso nessun cambiamento significativo è stato osservato nella sottopopolazione dei LT CD21+ nei cani malati, alcuni autori hanno rilevato un loro aumento (Moreno et al., 1999 [cit.]) ed altri una loro diminuzione (Boudoiseau et al., 1997 [cit.]). Inoltre, come nel presente studio, anche Rosypal e coll. (2005) non hanno rilevato variazioni delle percentuali dei CD4+ e CD8+ in cani sperimentalmente infetti con lo stipite nord-americano di L. infantum.

In conclusione gli autori affermano che:

  • Non ci sono differenze significative nelle sottopopolazioni di LT tra cani sani e leishmaniotici;
  • Non c’è una chiara correlazione tra la risposta alla terapia e le percentuali di queste sottopopolazioni;
  • Tali percentuali non possono essere utilizzate come parametri per predire l’evoluzione clinica del paziente;
  • Dal momento che la risposta immunologica alla L. dipende dalla componente cellulare del sistema immunitario, e che nella specie canina è stato dimostrato che gli animali infetti che non sviluppano la malattia o che rispondono bene al trattamento, presentano una risposta immune eminentemente cellulare, l’indicatore di prima scelta per lo studio dell’evoluzione della malattia e dello stato immunologico individuale, molto probabilmente è rappresentato dal profilo delle citochine espresse dalle cellule mononucleate del sangue periferico (linfociti e monociti), in particolare IL-4, IFN-γ e IL-2.

7. Terapia

Il primo obiettivo è alleviare la sofferenza, non prolungare la vita. E se la tua cura non allevia la sofferenza ma prolunga solamente la vita, va interrotta.

Christian Barnard

7.1. Generalità

Un farmaco efficace, poco costoso, senza effetti collaterali e facile da somministrare non è ancora disponibile. A tutt’oggi i trattamenti sono spesso lunghi, costosi ed inefficaci, considerando anche che gli intimi meccanismi immunitari che regolano la risposta del cane verso l’agente patogeno, non sono ancora completamente chiariti.

Caratteristiche che dovrebbe avere il farmaco ideale (Cerundolo, 2001):

  • Azione leishmanicida e/o immunomodulatrice (onde ottenere l’eliminazione del parassita mediante l’aiuto della risposta immunitaria dell’ospite);
  • Bassa tossicità;
  • Assenza di effetti collaterali (ma è mai esistito un farmaco per il quale si può affermare senza ombra di dubbio che è scevro da effetti collaterali?);
  • Facilità di somministrazione;
  • Facilità di reperimento in commercio;
  • Terapia di breve durata (in modo anche da essere poco costosa, in particolar modo nei frequenti casi in cui sia necessario associare più farmaci).

Indubbiamente la risposta alla terapia è migliore quando il cane è (ancora) asintomatico, per cui sarebbe auspicabile sottoporre a trattamento farmacologico gli animali che non presentano segni clinici, in modo da evitare l’evoluzione della patologia in forme conclamate. Concetto questo piuttosto utopico, nella pratica clinica quotidiana, in quanto il proprietario conduce alla visita il cane quando si accorge che c’è qualcosa che non va, cioè quando l’animale presenta almeno qualche sintomo, sia pure un caso oligosintomatico.
Altra cosa auspicabile ma molto difficile da realizzare, sarebbe uniformare i protocolli terapeutici, soprattutto per evitare l’insorgenza di fenomeni di farmacoresistenza di Leishmania, con rischiose ripercussioni sulla salute pubblica.

Dal punto di vista prettamente empirico - pratico, nelle aree tradizionalmente considerate endemiche per leishmaniosi, la scelta di trattare il cane ammalato appare relativamente scontata. Diversamente nelle aree tradizionalmente non endemiche (anche se il concetto, negli ultimi tempi, è molto più sfumato che in passato) il veterinario ed il proprietario si trovano di fronte ad una scelta piuttosto difficile (Mancianti et al., 2000).

Anche se l’eutanasia può rappresentare una soluzione, dovrebbe essere considerata solo nei casi di leishmaniosi canina che possono costituire un grave problema di salute pubblica (persone immunodepresse), o nei casi in cui le condizioni di salute dell’animale limitino, oltre ogni ragionevole dubbio, le possibilità di successo della terapia (grave insufficienza renale) (Roura, 2001).

Occorre distinguere una terapia specifica nei confronti del parassita, da quella sintomatica e di supporto, quando lo stato clinico dell’animale lo richieda (se c’è insufficienza renale, io tratto quella, non la leishmaniosi [Melosi, 1999, comunicazione personale]).
Bisogna tenere presente che i parassiti sono molto più resistenti nel cane che nell’uomo, e vengono eliminati solo in rari casi (la guarigione completa, anche se possibile, è poco frequente [Roura, 2001]). Inoltre nelle zone endemiche gli animali sono continuamente sottoposti a reinfezioni, che non sono facilmente distinguibili da eventuali recidive (Mancianti et al., 2000).

7.2. Terapia specifica

La risposta alla terapia specifica si realizza con una marcata variabilità individuale: la maggior parte dei pazienti mostrano un miglioramento clinico, alcuni rispondono bene ma poi vanno in contro a recidive ed alcuni non rispondono affatto. Il sistema immunitario gioca un ruolo certamente fondamentale nel determinismo della risposta all’infezione ed alla terapia, ma questo aspetto non è ancora sufficientemente chiarito per comprendere una tale variabilità di risposte individuali (Miranda et al., 2007).

7.3. Cenno sui fitoterapici

  • Amarogentina: è stata usata veicolata in liposomi nel criceto dimostrando un’azione leishmanicida;
  • Aglio: alla dose di 20 mg/kg SID, associato all’AnM (60 mg/kg SID), in topi BALB/c è risultato efficace nel trattamento dell’infezione da Leishmania major: sarebbero emerse le proprietà immunomodulatrici dell’aglio tramite lo shift della risposta delle citochine, cioè il passaggio da una risposta immunitaria (linfociti T) prevalentemente Th2 (non protettiva) ad una prevalentemente Th1 e quindi protettiva (Ghazanfari et al., 2000);
  • Luteolina: inibisce in vitro la crescita dei promastigoti ed amastigoti di Leishmania donovani (Mittra et al., 2000).

7.4. Immunomodulatori

7.4.1. Glicocorticoidi

Spesso vengono utilizzati nel tentativo di controllare i fenomeni immunopatologici (prednisone e prednisolone a dosi non immunosoppressive [1,2 mg/kg al giorno x 40 gg, anche se probabilmente tali dosi hanno dato buoni risultati più per le proprietà antiflogistiche che per l'inibizione della produzione anticorpale]).

Tali farmaci devono essere usati con moderazione e cautela, per non correre il rischio, paradossalmente, di aggravare la funzionalità renale: per la loro azione catabolica, per l’induzione di ipoalbuminemia, e per le stesse proprietà immunosoppressive (inibiscono la produzione di IL1 dai monociti attivati ed ostacolano quella di IL2 dai linfociti T helper) (Mancianti e Bizzeti, 2000).
Le lesioni cutanee in corso di leishmaniosi possono migliorare con la somministrazione di prednisolone, ma la carica parassitaria può risultare aumentata (Rüfenacht et al., 2005). Nei topi sperimentalmente infetti e trattati per lunghi periodi di tempo con desametasone, si ha un incremento della carica parassitaria nella milza (Gangneux et al., 1999 [articolo completo]). Inoltre nel cane (come nell’uomo e nel topo) l’immunità cellulo-mediata è d’importanza fondamentale nel controllo della leishmaniosi (Moreno, Alvar, 2002), ed i glicocorticoidi determinano un’inibizione di questa immunità, influenzando l’equilibrio ospite-parassita (nell’infezione sperimentale canina per via endovenosa, il trattamento con glicocorticoidi per 5 mesi ha promosso tutti gli aspetti dell’infezione leishmaniotica [Poot et al., 2005]).

7.4.2. Azatioprina

In associazione ai glicocorticoidi (alle dosi suddette) 2-2,5 mg/kg al giorno per 1 settimana, quindi a giorni alterni.

7.4.3. Interferone-γ

Promuove la penetrazione della molecola attiva degli antimoniali pentavalenti (Sb5+) nei macrofagi ed induce la produzione di citochine (IL1). Ma l’IFN-γ in commercio, di origine umana, è molto costoso e andrebbe somministrato per via orale onde evitare fenomeni di immunizzazione e conseguente inattivazione.
Sono stati ottenuti buoni risultati (scomparsa dei segni clinici, negativizzazione sierologica, normalizzazione del protidogramma) tramite la somministrazione di 100 UI al giorno per 7 gg e poi a settimane alterne durante la terapia con Glucantim® e dopo la fine di questa (sempre a settimane alterne) per altri 3 mm.
Buoni risultati (guarigione di forme cutanee diffuse indotte da Leishmania mexicana) anche combinando l’INF-γ con pentamidina ed allopurinolo.

7.4.4. Citochine ad azione timica

Utilizzate (800 mg al giorno per 1 mese, quindi a giorni alterni per un altro mese e poi ogni 3 gg per 2-3 mesi) per mantenere asintomatici soggetti con titoli anticorpali modicamente aumentati (Mancianti e Bizzeti, 2000).

7.5. Nuovo approccio alla terapia della leishmaniosi canina

(dal “Prontuario terapeutico veterinario SCIVAC 2001 - Terapia delle leishmaniosi canine” di Stefano Pizzirani)

Considerata la grande variabilità delle situazioni cliniche, diagnostiche e terapeutiche che possono caratterizzare l’infezione, l’Autore traccia un nuovo modello terapeutico basato sulla definizione di classi clinico-patologiche.

La suddivisione in soggetti oligosintomatici, paucisintomatici e plurisintomatici, spesso utilizzata per la classificazione dello stato di malattia, si basa su aspetti esteriori ed inquadrati in maniera soggettiva e superficiale ed è fuorviante riguardo al livello di gravità di infezione e sull’esito prognostico dei casi…

Queste classi scaturiscono dalla volontà di avere indicazioni metodologiche più schematiche ed applicabili oggettivamente. Tale suddivisione consente di rimuovere i parametri soggettivi dell’interpretazione clinica per fornire schemi oggettivi analitici su cui applicare protocolli standard.

Le classi cliniche e le indicazioni terapeutiche sono indicative. Ogni caso clinico presenta caratteristiche peculiari che lo differenziano da tutti gli altri. Schemi rigidi non aiutano alla soluzione del problema.

Legenda della sottostante tabella:
IFI: Immunofluorescenza indiretta; FNA: Fine Needle Aspirate (aspirato con ago sottile [agoaspirato]); Prot. Tot.: Proteine totali sieriche; A/G : Rapporto Albumine / Globuline; BUN: Urea sierica; P: Fosforo ematico; Prot. Urin.: Proteine urinarie; PU/CU: Rapporto Proteine Urinarie / Creatinina Urinaria; +: Positivo; -: Negativo; ^: Aumento.
Classi clinico-patologiche suggerite (Pizzirani, 2001)
Classe IFI FNA Prot. Tot. A/G BUN Creatinina P Prot. Urin. PU/CU
A + - <> - - - - - <>
B + + <> - - - - - <>
C + + > 8 g/dl Alterato - - - ^ <>
R1 + + > 8 g/dl Alterato - - - ^ > 1
R2 + + +- 8 g/dl Alterato ^ ^ (^) ^ > 1
R3 + + +- 6 g/dl Alterato ^^ ^^ ^ ^ > 1
Classi cliniche e terapeutiche (da Pizzirani, 2001)
Classe Parametri Terapia Controlli
A
  • IFI positivo;
  • Biopsia negativa;
  • Nessuna alterazione biochimica;
Nessuna Almeno:
  • Emocromo;
  • IFI;
  • Biopsia;
  • Proteine totali;
  • Elettroforesi;
  • Urine

Ogni 2-3 mesi il primo anno o profili biochimici estesi al cambiamento della situazione clinica.

B
  • IFI positivo;
  • Biopsia positiva;
  • Nessuna alterazione biochimica
  1. Antimoniato di n - metilglucamina (75 mg/kg SC ogni 12 hh oppure 50 mg/kg SC ogni 8 hh per 2 mesi) + allopurinolo (15-20 mg/kg PO ogni 12 hh per 6 mesi);
  2. Amminosidina (5,25 - 10,5 mg/kg IM ogni 12 hh per 3 settimane);
  3. Amminosidina (5,25 mg/kg IM ogni 12 hh) + antimoniato di n - metilglucamina (30 mg/kg SC ogni 12 hh) per 3 settimane
Almeno:
  • Emocromo;
  • BUN;
  • Creatinina;
  • Proteine totali;
  • Elettroforesi;
  • Urine (con PU/CU in caso di proteinuria)

Ogni 3-4 mesi il primo anno dopo la terapia; eseguire profili ematochimici estesi al cambiamento della situazione clinica.

C
  • IFI positivo;
  • Biopsia positiva;
  • Aumento delle proteine totali e A/G alterato;
  • Proteinuria ma con PU/CU <>
  • Soggetti con proteine sieriche > 9 g/dl possono manifestare proteinuria ma senza che questa sia indice di danno glomerulare;
  • Classe da considerare borderline per una possibile evoluzione di patologie renali
  1. Come 1 della classe precedente (antimoniato di n-metilglucamina fino a normalizzazione del tracciato elettroforetico; allopurinolo per 12 mesi);
  2. Come 2 della classe precedente;
  3. Come 3 della classe precedente;

NB: Per la terapia 2 e 3 verificare con estrema attenzione l’eventuale rialzo di PU/CU

  • BUN;
  • Creatinina;
  • PU/CU

Dopo 7-10 giorni dall’inizio della terapia

  • Controlli mensili estesi durante la terapia;
  • Controlli standard a fine terapia
R1
  • IFI positivo;
  • Biopsia positiva;
  • Aumento delle proteine totali;
  • A/G alterato;
  • Proteinuria con PU/CU > 1;
  • Prime indicazioni di interessamento glomerulare;
  • La GFR (tasso di filtrazione glomerulare) è ancora > = 30-50%
  1. Antimoniato di n - metilglucamina (50 mg/kg SC ogni 12 hh fino a normalizzazione di CU/PU; inserire quindi in classe C; altrimenti continuare fino a normalizzazione del tracciato elettroforetico);
  2. Allopurinolo 15-20 mg/kg PO ogni 12 hh per 12 mesi;
  3. ACE - inibitori;
  4. Acidi grassi poliinsaturi omega 3;
  5. Riduzione dell’apporto dietetico di fosforo;
  6. Acido acetilsalicilico 0,5 mg/kg
  • Emocromo;
  • BUN;
  • Creatinina;
  • Urine (con PU/CU)

A 7 e 14 giorni dall’inizio della terapia

  • Controlli mensili estesi durante la terapia;
  • Controlli standard a fine terapia.
R2
  • IFI positivo;
  • Biopsia positiva;
  • Proteine totali da normali ad aumentate;
  • A/G alterato;
  • BUN aumentata (<>
  • Creatinina aumentata (<>
  • P da normale ad aumentato;
  • Proteinuria con PU/CU > 1;
  • Pazienti con insufficienza renale;
  • La GFR è probabilmente < / = 75%
  1. Antimoniato di n - metilglucamina 50 mg/kg SC a giorni alterni per i primi 10 - 14 giorni, monitorando i parametri renali; se questi tendono a migliorare od a rimanere stabili con condizioni cliniche rassicuranti, aumentare la dose a 50 mg/kg SC ogni 24 hh; se dopo 10 - 14 giorni i parametri continuano a migliorare o non peggiorano, si passa a 50 mg/kg SC ogni 12 hh;
  2. Allopurinolo 15-20 mg/kg PO ogni 12 hh per 12 mesi, quindi per 1 mese ogni 3-4 mesi;
  3. La terapia va continuata fino alla normalizzazione delle γ - globuline sul tracciato elettroforetico; è probabile che in questi soggetti il rapporto A/G non torni nella norma per l’aumento delle α - 2 - macroglobuline e delle β - lipoproteine e la possibile diminuzione dell’albumina. Tali variazioni vanno interpretate come indice di insufficienza renale cronica e/o sindrome nefrosica, piuttosto che di malattia protozoaria;
  4. Riduzione del dosaggio degli ACE - inibitori, omega 3, acido acetilsalicilico e dell’apporto di proteine e fosforo con la dieta;
  5. Somministrare eparina in caso di diminuzione modica dell’ATIII
Almeno:
  • Emocromo;
  • BUN;
  • Creatinina;
  • Ca, P, Na, K;
  • Colesterolo, trigliceridi;
  • Urine con PU/CU;
  • Profilo coagulativo;
  • Equilibri acido - base;

Soprattutto nei primi periodi di terapia

  • Controlli mensili estesi durante la terapia;
  • Controlli standard a fine terapia
R3
  • IFI positivo;
  • Biopsia positiva;
  • Proteine totali inferiori alla norma o nel range;
  • A/G alterato ma non per aumento esclusivo delle γ - globuline;
  • Aumento cospicuo di BUN (> 100 mg/dl);
  • Creatinina molto aumentata (> 4 mg/dl);
  • P ematico molto aumentato;
  • Proteinuria massiva con PU/CU > 1;
  • Pazienti in scompenso renale con sindrome uremica o nefrosica
  1. Allopurinolo 15-20 mg/kg ogni 12 hh per 12 mesi (ripetere per 1 mese ogni 3-4 mesi);
  2. Fluidoterapia (controllare la presenza di acidosi metabolica);
  3. Riduzione dosaggio degli ACE - inibitori, omega 3, acido acetilsalicilico e dell’apporto di proteine e fosforo con la dieta;
  4. Alluminio in gel se la fosforemia non tende a diminuire;
  5. Antiemetici;
  6. Eritropoietina;
  7. Somministrare eparina in caso di AT III <> 70%;
  8. Trasfusione;
  9. Farmaci oressici o nutrizione parenterale;
  10. In caso di miglioramento dei parametri ematici passare alla classe R2
Monitorare tutti i parametri ottenibili

7.6. Problemi renali

Approssimativamente il 50% dei cani con leishmaniosi presenta un grado maggiore o minore d’interessamento renale. Di questo 50%, il 30% ha insufficienza renale e il 20% ha una glomerulopatia. Nei casi molto avanzati, alcuni di questi cani sviluppano una sindrome nefrosica.

Circa il 60% dei cani con insufficienza renale muoiono, spontaneamente o per eutanasia. Il periodo di sopravvivenza oscilla tra i 4 mesi (nei cani con insufficienza renale) e i 12 mesi (nei cani con malattia glomerulare). È comunque importante ricordare che esiste un 40% di cani con leishmaniosi e malattia renale che risponde bene al trattamento.

La causa principale del problema renale è una glomerulonefrite membranosa secondaria alla formazione e alla deposizione di immunocomplessi circolanti nella parete dei capillari glomerulari. Sono state descritte altre cause di problemi renali associati alla leishmaniosi, altri tipi di glomerulonefrite, nefrite o deposizione di sostanza amiloide.

I livelli di proteinuria sono indicativi del grado di lesione glomerulare.
Il ritrovamento precoce di una quantità anomala di proteine urinarie, specialmente in cani che ancora non presentano insufficienza renale, è fondamentale per cercare di rallentare la progressione delle lesioni renali secondarie alla leishmaniosi.
La determinazione del rapporto PU/CU è molto importante per valutare il danno glomerulare. (Roura, 2001)

Come si evince anche dalle tabelle sopra riportate, nel caso di problemi renali (peraltro frequenti) la terapia si complica notevolmente.
La bibliografia riporta delle esperienze terapeutiche spesso diverse ed in continua evoluzione, soprattutto per quanto riguarda l’annosa questione sull’opportunità dell’uso dei farmaci corticosteroidei.
Vediamo comunque alcune applicazioni terapeutiche suggerite.

7.6.1. Turbe della funzionalità renale e terapia (Mancianti e Bizzeti, 2000)

Se gli animali presentano problemi renali, il parametro da tenere maggiormente presente è la creatininemia (buon indice della filtrazione glomerulare):

  • Creatininemia inferiore o uguale a 1,8-2 mg/dl non è opportuno diminuire le dosi del farmaco (antimoniato di n - metilglucamina);
  • Creatininemia maggiore di 2 mg/dl si dimezza la dose del farmaco (somministrando la dose piena ad intervalli di un giorno);
  • Creatininemia maggiore o uguale a 3 mg/dl si riduce la dose a 1/3 (dose piena un giorno sì e due no);
  • Creatininemia da 4 mg/dl in su si riduce la dose a ¼;
  • Sarebbe opportuno anche un’alimentazione adeguata (basso contenuto proteico) e ricorrere alla somministrazione di glicocorticoidi onde ostacolare la formazione di immunocomplessi:
    • Protocolli consigliati da alcuni autori:
      • Per animali con creatininemia elevata ma senza sintomatologia riferibile (atrofia muscolare, anoressia, vomito, disidratazione): Glucantim® 50 mg/kg ogni 48 ore + 0,5-1 mg/kg al giorno di prednisolone x 7 gg, segue controllo dell’azoto e, se i valori sono peggiorati, si sospende Glucantim® continuando il cortisonico fino al ripristino dei valori precedenti, continuando il protocollo x 15-30 giorni; se non c’è peggioramento si somministrano 100 mg/kg di Glucantim® ogni 48 ore x altre 2 settimane (controllando uremia e creatininemia ogni 7 gg) cui segue dosaggio pieno;
      • Per animali con creatininemia elevata con sintomatologia riferibile (atrofia muscolare, anoressia, vomito, disidratazione): desametasone 0,1 mg/kg al giorno EV, effettuando un esame giornaliero dei parametri relativi alla funzionalità renale; se questi tendono ad abbassarsi il desametasone viene sostituito col prednisolone, e se la creatininemia scende sotto 2,5 mg/dl si somministra Glucantim® 50 mg/kg per infusione EV lenta ogni 18 ore, controllando quotidianamente la funzionalità renale, in caso di aumento si sospende Glucantim® e si continua il cortisonico x 7-14 gg fino alla stabilizzazione dei valori di azoto e creatinina, dopodiché si introduce Glucantim® in dosi crescenti cercando di raggiungere 100 mg/kg al giorno se tollerato;

In animali che presentino turbe della funzionalità renale è sconsigliato l’uso dell’amfotericina B e dell’amminosidina.

7.6.2. Corticosteroidi (Pizzirani, 2001)

  • Il loro uso è controverso;
  • A dosaggio immunosoppressivo (prednisone 2,2 mg/kg ogni 12 hh) e per lunghi periodi di tempo (6 settimane) possono provocare alterazioni renali; mentre dosaggi più contenuti e per tempi più limitati non inducono proteinuria;
  • Alcune delle proprietà immunosoppressive di questi farmaci (che determinano diminuzione del tasso anticorpale ed il conseguente aumento dell’antigene) sono considerazioni che dovrebbero limitare l’uso dei corticosteroidi in patologie renali associate a leishmaniosi;
  • Nonostante quanto suesposto il quadro istologico di glomerulopatia a cambiamenti minimi (Minimal Change Glomerulopathy) in corso di leishmaniosi canina può spiegare l’indubbia efficacia che i corticosteroidi manifestano nella pratica clinica in alcuni pazienti renali;
  • Pertanto l’uso di tali farmaci andrebbe preso in considerazione in questi casi o nei pazienti che non rispondono alle terapie evidenziando una costante progressione della malattia renale;

7.6.3. Come trattare un cane con leishmaniosi e problemi renali? (Roura, 2001)

7.6.3.1. Glomerulopatia

  • Proteinuria nello stick;
  • PU/CU > 1;
  • Peso specifico urinario normale;
  • Ipoalbuminemia;
  • Senza azotemia;
  • Trattamento:
    • Antimoniato di n - metilglucamina (SC);
    • Allopurinolo;
    • ACE-inibitori (enalapril o benazepril = 0.5 mg/kg una volta al giorno);
    • Dieta di controllo renale (basso contenuto proteico);

7.6.3.2. Insufficienza renale

  • Proteinuria nello stick;
  • PU/CU > 1;
  • Isostenuria o ipostenuria;
  • Ipoalbuminemia;
  • Azotemia;
  • Trattamento:
    • Fluidoterapia;
    • Non antimoniato di n - metilglucamina inizialmente;
    • Allopurinolo;
    • ACE - inibitori e dieta di controllo renale;
    • Il trattamento posteriore con antimoniato di n - metilglucamina (SC), allopurinolo (via orale), ACE - inibitori (via orale) e dieta, dipenderà dall’evoluzione dei sintomi dell’insufficienza renale;

7.6.3.3. Sindrome nefrosica

  • Proteinuria nello stick;
  • PU/CU > 1;
  • Peso specifico urinario variabile;
  • Ipoalbuminemia;
  • Ipercolesterolemia;
  • Trattamento uguale a quello di una glomerulopatia, aggiungendo una dose bassa di Aspirina® (0,5-5 mg/kg ogni 12 ore) per cercare di prevenire le complicazioni tromoboemboliche, ridurre l’aggregazione piastrinica e l’infiammazione glomerulare;

Si potrebbero utilizzare glicocorticoidi solo se si eseguisse una biopsia renale e si diagnosticasse una lesione glomerulare di minimal change. In caso contrario l’uso di questi farmaci è controindicato.

7.7. Il problema della sospensione della terapia (Roura, 2001)

Una volta cominciata la terapia è molto difficile decidere quando possiamo considerare che il cane è clinicamente guarito e decidere quindi di sospendere la terapia.
La maggior parte degli autori eseguono controlli ogni 6 mesi ed utilizzano come criteri per valutare l’evoluzione del cane:

  • La scomparsa dei segni clinici;
  • La normalizzazione del protidogramma e dei valori ematologici e biochimici;
  • Il titolo anticorpale anti-Leishmania;
  • La presenza di parassiti nel cane.

Oltre a queste norme generali, nei cani con problemi renali, si raccomanda la realizzazione di controlli a 15 e 30 giorni dall’inizio della terapia.

Anche eseguendo correttamente tutto il protocollo, in molti casi non è possibile prendere la decisione di sospendere la terapia. Per questo è stato inserito nel protocollo il test d’ipersensibilità ritardata alla Leishmanina.
Questo test permette una valutazione basica della risposta immunitaria cellulare Th1 [quella protettiva]. Per cui nei casi in cui il test è positivo (dopo un anno di terapia) ed il resto dei parametri è normale, decidiamo d’interrompere la terapia.

7.8. Conclusioni

7.8.1. Mancianti e Bizzeti, 2000

Le diverse ricerche volte a stabilire l’efficacia dei farmaci in uso hanno portato a conclusioni fra loro non troppo dissimili. Anche se a volte difformi per quanto riguarda le percentuali dei successi ottenuti e per gli effetti indesiderati, nessuna delle formulazioni terapeutiche può esimersi dalla oggettiva constatazione di non permettere una guarigione completa, duratura e magari definitiva.

Qualunque sia stata la scelta terapeutica, è necessario un periodico monitoraggio del paziente ed un programma dettagliato, ma indefinibile a priori, di successivi interventi.

7.8.2. Cerundolo, 2001

[*] Per quanto riguarda la PCR nel follow-up durante la terapia ed a fini prognostici o per valutare le recidive, ci sono pareri contrastanti; infatti c’è chi afferma che non esiste correlazione tra questo metodo diagnostico e gli aspetti suddetti (Lamothe, 2004, comunicazione personale).

Attualmente non sono disponibili per il cane validi protocolli terapeutici che garantiscano un’azione leishmanicida.
In attesa di studi scientifici che dimostrino l’efficacia dei protocolli terapeutici usati in medicina umana o negli animali da laboratorio, è bene non utilizzare farmaci la cui efficacia è dubbia o aneddotica. Fino a quando non saranno disponibili farmaci ad azione leishmanicida e/o immunomodulante e non sarà possibile usare le interleuchine dovremo controllare la leishmaniosi con un’azione preventiva, proteggendo il cane dall’esposizione ai flebotomi, e con l’uso dei protocolli terapeutici standardizzati che, utilizzati in campo internazionale, hanno dimostrato efficacia nel determinare una guarigione clinica ed una riduzione della carica parassitologica.
Quest’ultimo obiettivo va anche raggiunto effettuando una terapia di mantenimento, da interrompersi solo quando siano scomparsi i segni clinici, vi sia la normalizzazione dei parametri di laboratorio (protidogramma normale) e due test PCR [*] eseguiti sul midollo o linfonodo a distanza di 6 mesi abbiano dato esito negativo.


8. Profilassi

Nessun vaccino disponibile in Europa (in Brasile esiste Leishmune® dal 2004).

Ci sono stati e ci sono tutt’ora diversi studi in merito, ma la cosa appare tutt’altro che semplice, dato che i vaccini tradizionali si basano sulla stimolazione del sistema immunitario che, in corso di leishmaniosi, risulta depresso, costituzionalmente o secondariamente all’infezione stessa.

8.1. Profilassi sanitaria

8.1.1. Ambiente

L’ambiente preferito dai flebotomi è rappresentato dalle anfrattuosità del terreno, dalle crepe dei muri, dalle superfici asciutte, ma in un’atmosfera piuttosto secca e - soprattutto - senza vento. Ovviamente queste sono condizioni presenti ovunque in Italia, per cui le aree a rischio non sono facilmente delimitabili. Da ciò consegue che, a livello urbano, l’unico intervento possibile di profilassi sanitaria, è quello di mettere in atto misure igieniche generali che tendano ad impedire la costituzione di nuovi focolai dove è possibile lo sviluppo dei flebotomi (raccolte statiche di immondizie, discariche, ecc.).

I flebotomi non sono dei grandi volatori, in particolar modo in ambiente urbano; ma nelle aree rurali possono compiere anche voli di 2 km o più.

L’impossibilità di individuare aree circoscritte sfocia nella difficoltà d’intervenire con mezzi di lotta chimica, perché dovrebbero essere sottoposte ad interventi insetticidi intere regioni, con l’alto rischio di provocare dissesti ecologici da inquinamento ambientale, non tralasciando le ripercussioni che tali interventi avrebbero sulla salute umana e degli animali superiori in genere.

8.1.2. Flebotomi

8.1.2.1. “Trappole”

Questi piccoli insetti, durante le ore notturne, sono attratti da sorgenti luminose deboli (come le pile tascabili); se nelle vicinanze della cuccia si pongono piccole sorgenti di luce circondate da carta oleata, si creano delle trappole in cui i flebotomi rimangono prigionieri. Questo sistema può dare buoni risultati solo se viene approntato in ambienti bui.

8.1.2.2. Insetticidi

Sarebbe una buona regola sottoporre la cuccia od il canile (habitat ideale per i flebotomi) a frequenti trattamenti insetticidi. Ma in ambito profilattico hanno un’importanza fondamentale soprattutto le sostanze da applicare direttamente sul cane, presidi che debbono avere un’azione (insetticida, repellente, anti-feeding [contro il pasto di sangue]) estremamente rapida (Stanneck, 2006).

Le migliori sostanze, in questo senso, si sono rivelati i piretroidi sintetici come la deltametrina (Scalibor Protector Band® [collare]) e la permetrina (Exspot® [gocce spot-on], Advantix® [gocce spot-on, in associazione all'imidacloprid, un antipulci]), utilizzate in formulazioni spot-on, spray o come collari.

Queste misure profilattiche rappresentano certamente accorgimenti da prendere in seria considerazione, anche se, ovviamente, non possono garantire - in maniera assoluta - il cane dalla puntura dell’insetto vettore.

8.1.2.2.1. Deltametrina

Riferimenti bibliografici importanti:

In Italia il collare impregnato di deltametrina, viene distribuito dalla Intervet™. Si tratta dello Scalibor Protector Band®. La ditta, sulla base dei dati scientifici, in parte sopra riportati, afferma che la durata d’attività dello stesso (per la prevenzione delle punture dei flebotomi) è di 5 mesi (4 per l’infestazione da pulci e 6 per quella da zecche).

8.1.2.2.2. Permetrina

Riferimenti importanti:

Efficacia della permetrina nei confronti di Phlebotomus perniciosus - Effetti repellenti e insetticidi di una preparazione spot-on nei confronti del vettore della leishmaniosi canina

Obiett. Doc. Vet. 1999;7/8.

R. Molina, J.M. Lohhse, J. Nieto.

Istituto di Salute Carlos III, Majadahonda (Madrid). Centro Nazionale di Microbiologia, Servizio di Parassitologia. Centro di riferimento OMS per la leishmaniosi.

In questo studio è stata valutata l’efficacia repellente e insetticida di una soluzione topica di permetrina al 65% (744 mg/ml), nei confronti di Phlebotomus perniciosus. Sono stati utilizzati quattro cani:

  • n. 2 cani non trattati (controllo);
  • n. 2 cani trattati ognuno con 2 ml (due ampolle) della soluzione di permetrina.

Sono state effettuate esposizioni nei giorni: 8, 0, 7, 14, 21, 28 e 35.

Per ogni esposizione i cani, preventivamente sedati, sono stati introdotti in gabbie di rete a maglia ultrafine dove sono state liberate 100 femmine di P. perniciosus.

Ad ogni esposizione si è valutato:

  • Il numero di contatti dei flebotomi durante i primi 5 minuti;
  • Il numero di flebotomi che avevano effettuato il pasto di sangue;
  • Il numero di flebotomi morti un’ora dopo l’esposizione.

Il numero di flebotomi che avevano assunto sangue dai cani trattati risultò praticamente nullo (inferiore al 1%) fino alla 14ª giornata, e si mantenne successivamente a livelli molto bassi (2%) fino alla 28ª giornata. La percentuale di mortalità dei flebotomi risultò elevata (circa 61%) durante la maggior parte dello studio.

Questi risultati dimostrano che l’applicazione mensile di una soluzione topica di permetrina è in grado di proteggere il cane nei confronti delle punture di P. perniciosus, e contestualmente di eliminare una percentuale elevata di questi insetti.

La soluzione utilizzata ha fornito un altissimo grado di protezione contro le punture dei flebotomi durante tutto il mese di studio. La permetrina ha un potente effetto irritante sugli insetti ematofagi, alterandone il comportamento durante il processo di ricerca del sito dove pungere. Questo spiegherebbe perché, durante i periodi di esposizione, i flebotomi dopo essersi posati sul cane, si muovevano erraticamente sulla sua superficie corporea senza pungere. La conseguenza di questo comportamento è stata che buona parte degli insetti ha ricevuto una dose d’insetticida sufficiente a causare l’alto tasso di mortalità registrato. In sintesi, l’utilizzo del prodotto abbinò una notevole protezione del cane contro le punture ad una elevata mortalità dei flebotomi che entrarono in contatto con gli animali trattati.

In conclusione, l’applicazione mensile di Exspot® sul cane durante tutto il periodo di attività dei flebotomi, da giugno a settembre inclusi [per sicurezza io andrei da maggio a ottobre inclusi - n.d. webmaster], fornirebbe un’elevata protezione contro le punture di questi insetti. Exspot® ha inoltre dimostrato di essere un efficace repellente anche verso le zecche Rhipicephalus sanguineus e Ixodes dammini e la zanzara Aedes aegypti.

II controllo dei flebotomi, basato sull’impiego di piretroidi di sintesi con ampio effetto residuale, continua ad essere tutt’oggi uno dei principali strumenti disponibili nella prevenzione della leishmaniosi. La permetrina si è dimostrata molto efficace anche contro altri insetti ematofagi. Questo insetticida si è anche rivelato efficace contro i flebotomi se utilizzato impregnando zanzariere e tende, oppure mescolato a saponi. Anche se l’idea d’interrompere la trasmissione della leishmaniosi canina mediante l’applicazione di piretroidi sul cane risulta sicuramente di notevole interesse, sono stati effettuati solo pochi studi per valutare la loro efficacia protettiva nei riguardi delle punture dei flebotomi. La disponibilità di nuovi prodotti a base di piretroidi, formulati specificamente per essere applicati sugli animali domestici, come la soluzione topica a base di permetrina valutata nel presente studio, apre nuove prospettive nella lotta contro la leishmaniosi canina. In tal senso, un impiego diffuso e continuativo di Exspot® nella popolazione canina, durante i mesi ad alto rischio di trasmissione, dovrebbe ridurre notevolmente l’incidenza di tale malattia, un aspetto che dovrà essere oggetto di ulteriori studi.

8.1.2.2.3. Associazione permetrina (50%) + imidacloprid (10%) (Advantix®)

La repellenza, misurata come efficacia anti-feeding, è stata dimostrata in numerosi flebotomi (Phlebotomus papatasi, P. perniciosus, Lutzomyia longipalpis), mosche (Stomoxys calcitrans) e zanzare (Aëdes spp. e Culex spp.), per un periodo di numerose settimane dopo un singolo trattamento spot-on con permetrina (Stanneck, 2006).

Miró e coll. (2007) hanno dimostrato che la soluzione offre un efficace effetto repellente almeno contro P. perniciosus, a partire da 24 ore dopo l’applicazione sul cane e per un periodo di 21 giorni, che gli autori consigliano come intervallo di applicazione del prodotto per ridurre significativamente il rischio delle punture dei flebotomi nelle aree endemiche. Ad analoghe conclusioni sono arrivati anche Otranto e coll. (2007) [altra segnalazione del lavoro] ottenendo dei risultati eccellenti con applicazioni ad intervalli di 15 giorni (100% efficacia) e molto buone ad intervalli di 28 giorni (88,9 %).

8.1.3. Serbatoi (reservoir)

Un serbatoio è un animale che funge da fonte dell’infezione umana.

Un buon serbatoio dovrebbe essere:

  • In stretto contatto con l’uomo per il tramite dei flebotomi;
  • Recettivo all’agente patogeno;
  • Disponibile per il vettore in quantità sufficiente e nel giusto stato per causare l’infezione.

Inoltre un buon serbatoio dovrebbe offrire la risorsa alimentare principale per i pappataci ed entrambi dovrebbero condividere lo stesso habitat. La malattia dovrebbe presentare un’evoluzione cronica permettendo all’animale di sopravvivere almeno fino alla successiva stagione di trasmissione.

Il cane risulta un esempio di buon serbatoio di Leishmania. La natura fatale della malattia canina suggerisce che il cane sia un ospite recente, in termini evoluzionistici.

Generalmente si ritiene che il cane sia l’ospite peridomestico principale di Leishmania anche se, in alcune zone, altri mammiferi - come canidi selvatici (lupo, volpe) e roditori (topi e ratti) - sono stati “incriminati”. È stata proposta l’esistenza di un ciclo selvatico autonomo o semi-autonomo nel bacino del Mediterraneo dopo il ritrovamento di volpi infette nel sud della Francia, in Italia, Spagna e Portogallo. Uno studio recente, eseguito in un’area endemica del Brasile, suggerisce che le volpi non mantengono un ciclo di trasmissione indipendente rispetto ai cani infetti.

I cani randagi generalmente sono malnutriti, per cui risultano più sensibili alla malattia, ma chiaramente fungono da serbatoi anche i cani di proprietà.

Anche se alcune ricerche dimostrerebbero una relazione diretta tra la prevalenza della leishmaniosi nelle popolazioni canine ed umane, la malattia nel cane ha una prevalenza molto superiore ed una diffusione più ampia della leishmaniosi viscerale umana, per cui, in realtà, non si può stabilire una correlazione con la prevalenza della malattia umana. Nei Paesi mediterranei ci sono zone in cui la prevalenza dell’infezione nel cane è elevata, ma la patologia nell’uomo è ipoendemica o sporadica; in altre aree la leishmaniosi umana è apparentemente sconosciuta mentre la malattia canina è molto frequente.

Benché il grado di infettività per i flebotomi sia superiore per quanto riguarda i cani sintomatici rispetto agli asintomatici (soprattutto in presenza di ampie lesioni cutanee), questi ultimi non andrebbero sottovalutati perché comunque restano infettanti per un elevato numero di pappataci. Anche se la dimostrazione dei parassiti nei cani infetti aumenta con i livelli anticorpali e la gravità dei segni clinici, i dati sierologici non sono indicatori affidabili della presenza dell’infezione.

Del resto più della metà dei cani con anticorpi anti-Leishmania risulta asintomatica.

Sarebbe importante rilevare tutti i cani infetti e comprendere il ruolo di serbatoio degli animali asintomatici, in quanto sfuggono all’esame clinico e quindi alle misure di controllo, contribuendo alla diffusione della leishmaniosi. Sarebbe anche essenziale conoscere la distribuzione geografica e la prevalenza della malattia canina per progettare ed implementare misure di controllo appropriate (Campino, 2002).

Resta da definire il ruolo potenziale di specie recettive all’infezione, ma che non rispondono ai requisiti suddetti per i serbatoi (rettili come le lucertole ed i geki, il gatto e l’uomo).

8.1.3.1. Stamping out?

Per stamping out s’intende l’uccisione in massa di animali e viene solitamente utilizzato in termini giuridico-sanitari, nel senso di dettami legislativi che impongono la soppressione di soggetti, onde impedire la diffusione di malattie altamente pericolose per il patrimonio zootecnico e/o per la salute pubblica. Si tratta in genere di patologie estremamente contagiose (in particolare in senso diretto [la leishmaniosi è trasmissibile ma - generalmente - indirettamente per il tramite dei flebotomi]) e diffusive.

Finché esisteranno cani randagi o inselvatichiti e ratti, è del tutto inutile ed anche illusorio e delittuoso pensare di combattere la leishmaniosi uccidendo i cani domestici nei quali è stata accertata la malattia (Catarsini, 1989).

Fra il 1990 ed il 1994 in Brasile vennero controllati dal punto di vista sierologico 4500000 cani; 80000 sieropositivi vennero soppressi (in un programma di controllo della prevalenza dell’infezione umana). Nonostante ciò l’incidenza della malattia umana aumentò di quasi il 100% (Dietze et al., 1997 [articolo completo]).

Nel tentativo di cercare di comprendere un simile risultato fallimentare, Dietze e coll. [vedi nota biblio. precedente] hanno condotto uno studio sperimentale sul campo, ottenendo la medesima prevalenza dell’infezione umana sia nella valle in cui i cani sieropositivi erano stati soppressi sia nella valle controllo (nessuna soppressione). Nonostante il dato riconosciuto che il cane rappresenta il bersaglio preferito delle punture dei flebotomi (zoofilia dei flebotomi) ed il principale serbatoio di malattia (anche per la lunga durata dell’infezione e l’alto tasso di trasmissione cane-flebotomo), i ricercatori hanno postulato la possibilità che in certe aree endemiche dell’America Meridionale (Brasile in particolare), con forte incidenza di malattia umana, i cani non rappresentino il serbatoio primario per il mantenimento della leishmaniosi viscerale umana (AVL). Hanno chiamato in causa le volpi e gli opossum, ammettendo però che la loro diffusione è certamente inferiore a quella dei cani, rispetto ai quali, tali animali selvatici hanno ovviamente anche un minor stretto contatto con le persone (ma l’antropizzazione di aree periurbane sempre più estese [Brasile], porta ad una vicinanza più intima con gli opossum che risultano infetti in elevatissima percentuale [PCR positiva 91,6% su 112 soggetti], benché senza alcun sintomo evidente di leishmaniosi [Santiago et al., 2007]). Gli Autori quindi concludono che, almeno nel loro studio, si può ammettere un ruolo importante nella propagazione dell’infezione alla trasmissione uomo - flebotomo - uomo.

Costa e coll. (2002) hanno confermato questo sospetto, chiamando in causa anche vettori umani asintomatici: benché risulti infettante per i flebotomi solo una piccola percentuale di soggetti asintomatici, essi rappresentano un formidabile serbatoio d’infezione nelle aree endemiche. La stessa ipotesi è stata avanzata anche in Iran: nel nord-ovest della provincia di Fars, su 426 soggetti umani asintomatici, l’1,9% è risultato sierologicamente positivo (L. infantum) ed il 16% ha mostrato una PCR positiva su sangue (Fakhar et al., 2008).

I programmi di eliminazione di massa che sono stati approntati permettono di sopprimere tutti i cani infetti, invece che solo quelli infettanti; infatti se una percentuale dei cani infetti non diverranno mai infettanti, la loro eliminazione può essere controproducente, perché verranno sostituiti da soggetti sensibili (se non già infetti) che possono divenire infettanti. Inoltre è risultato che i fallimenti dei programmi di eliminazione di massa per il controllo della leishmaniosi viscerale zoonosica sono dovuti all’alta incidenza di infezione ed infettività nelle aree endemiche, alla scarsa sensibilità dei test diagnostici nello svelare i soggetti infettanti più che quelli infetti, al tempo intercorso fra la diagnosi e la soppressione (che riduce ulteriormente la sensibilità dei test) (Courtenay et al., 2002 [articolo completo HTML, PDF]). Anche considerando alcune delle variabili suddette, tramite un programma di eliminazione ottimizzato, i risultati sono stati fallimentari (Moreira et al., 2004). Tali programmi quindi non possono che essere del tutto abbandonati, mentre gli sforzi andrebbero indirizzati su quelle che appaiono le misure più appropriate: sviluppo vaccinale, controllo del vettore (come l’utilizzo di insetticidi residuali tramite spray), uso dei collari insetticidi per i cani (Courtenay et al., 2002). Proprio in Brasile, del resto, è risultato che l’utilizzo di collari impregnati di deltametrina, dà risultati migliori dell’eliminazione dei cani sieropositivi (Reithinger et al., 2004).

I due dati sopra esposti (in parte già accennati) indicano di nuovo l’impossibilità di cercare di controllare la malattia (umana soprattutto) attraverso lo stamping-out dei cani; infatti: quali animali sopprimere? quelli sintomatici? Ma se anche gli asintomatici sono serbatoi d’infezione… Quelli sieropositivi? e come si può sperare di controllarli tutti? e quei cani sieronegativi ma infetti?

Allo stato attuale solo le misure terapeutiche (Ashford, 1989) e di profilassi indiretta (volte a limitare l’esposizione dei cani [quelli sani e quelli positivi] ai flebotomi vettori) si sono dimostrate di una certa utilità nel limitare la prevalenza della leishmaniosi viscerale umana nelle aree endemiche.

In conclusione: per limitare l’incidenza della malattia sia nell’uomo che nel cane, sarebbe oltremodo auspicabile proteggere dalle punture dei flebotomi (con i migliori mezzi a disposizione e che siano di comprovata efficacia [collari, gocce spot-on, spray, reti, ecc.]) tutte le 3 seguenti categorie di cani:

  1. Infetti sintomatici;
  2. Infetti asintomatici;
  3. Non infetti.

8.2. Vaccinazione

Modelli matematici hanno indicato come la vaccinazione dei cani possa rappresentare un metodo efficace e pratico per abbattere la frequenza dei casi di leishmaniosi umana (Dye, 1996).

Tra i diversi risultati sperimentali ricordiamo:

  • Lasri et al., 1999: promastigoti autoclavati di Leishmania major, associati a BCG (adiuvante), sono stati in grado di stimolare una risposta cellulo-mediata protettiva nel cane;
  • Mukhopadhyay et al., 1999: nel criceto l’inoculazione di un ceppo di Leishmania modificato senza l’aggiunta di adiuvanti, è stato in grado di fornire una forte protezione sia verso una successiva infezione con ceppi virulenti che in soggetti con infezione in corso;
  • Mohebali et al., 1998;
  • Neogy et al., 1994: prove effettuate nel cane, utilizzando antigeni di Leishmania infantum associati ad antimoniato di n-metilglucamina, hanno portato ad una sterilizzazione parassitologica del 100% dei soggetti trattati;
  • Scott, 1991: l’associazione di antigeni parassitari con IFN-γ si è dimostrata valida nel provocare una risposta cellulare Th1 ed una protezione efficace in prove di infezione nei topi.

Per un approfondimento sui vaccini è possibile consultare Leishmaniasis: current status of vaccine development di Emanuela Handman (Clin. Microbiol. Rev. 2001 Apr. 14(2):229-243):

Review del vaccino brasiliano Leishmune® (2006) e relativi approfondimenti (2007).



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